«Parliamone». È diretto il segretario nazionale della Federazione che riunisce le scuole materne di ispirazione cristiana (Fism) Luigi Morgano, quando gli si chiede della proposta di allargare l’obbligo scolastico dai 3 ai 18 anni. Ma dietro a quella semplice parola, ci sono anche moltissime domande. «Per quanto ne sappiamo per ora - aggiunge Morgano - siamo davanti a un annuncio, a una intenzione programmatica, un’idea. Tra l’altro su un tema che non è affatto nuovo.
Quando dico 'parliamone' esprimo il desiderio di non fermarsi alla superficie, ma di andare al fondo della questione». E qui emergono domande e valutazioni anche critiche. «Preciso subito che non sto esprimendo alcun stop pregiudiziale - precisa Morgano - ma un invito ad affrontare il tema esaminando tutti gli aspetti che un passaggio di tale rilevanza comporta».
In primo luogo «una simile affermazione significa che la maggioranza che regge il Governo ha deciso di considerare la scuola non una spesa, bensì un investimento strategico per l’intero Paese, facendola diventare priorità. Ottimo! Ma se è così occorre che predisponga un investimento finanziario adeguato, che per anni è mancato al bilancio del ministero dell’Istruzione».
«Altro aspetto che deve essere tenuto in grande considerazione è quello pedagogico - dice Morgano -. In questi anni le nostre scuole hanno puntato molto su una qualità educativa alta. Cosa aggiunge, dunque, rendere obbligatorio il segmento 3 -6 anni, assicurato significativamente anche dalle nostre scuole? Si pensa di anticipare il sistema proprio della scuola primaria? Altro? La nostra prima preoccupazione è che al centro ci sia l’educando e il suo diritto ad una educazione integrale, completa. È così irrilevante che il sistema della scuola dell’infanzia italiano sia stato definito dall' Ocse modello di eccellenza a livello internazionale? È opportuno cambiare una realtà che funziona bene?
Terza questione è il futuro dell’attuale assetto della scuola dell’infanzia in Italia alla luce della legge 62/2000 sulla parità scolastica. «Oggi il sistema vede l’impegno di Stato, Enti locali e privato sociale, con una offerta che copre l’intero Paese. Introdurre l’obbligatorietà - si domanda ancora Morgano - significa che lo Stato in futuro vorrà assumersi l’onere di coprirlo tutto direttamente, come di fatto è negli altri ordini e gradi della scuola italiana, formazione professionale esclusa? Quale scenario si immagina? Ci sarà ancora posto per ' tutti', possibilmente - dopo vent' anni di attesa - alla pari, dando così attuazione alla legge 62?». E aggiunge: «Che fine farebbe l’attuazione del sistema integrato 0-6, varato nel 2017, che in qualche modo intende potenziare proprio l' offerta educativa per questa fascia d' età, facendo proprie indicazioni e risoluzioni europee?».
Insomma «come si vede, occorre tenere in considerazione molti fattori che non sono affatto marginali, ma sostanziali. In primo luogo attenzione alla totalità e alla complessità dei problemi e coinvolgimento reale, ampio di chi opera sul campo. Diversamente le riforme rischiano di non camminare. O peggio, potrebbero danneggiare il sistema». Un sistema, quello delle scuole dell’infanzia, tiene a sottolineare Morgano, che «attualmente copre già il 96% della popolazione tra i 3 e 6 anni. Il che evidenzia che anche senza obblighi la scuola dell' infanzia raggiunge livelli elevatissimi di frequenza che altri segmenti scolastici, peraltro obbligatori, non riescono a raggiungere: abbandono e dispersione scolastica sono, non a caso, la vera emergenza del nostro sistema scolastico».
Enrico Lenzi
Avvenire, 20 febbraio 2020