Con buona pace degli euroscettici e dei nuovi nazionalismi, il bel veliero di 'Erasmo', che in 32 anni di vita ha traghettato da un Paese all’altro oltre 10 milioni di individui del Vecchio Continente, non finirà nelle secche. Al contrario, è destinato ancora a salpare e a prendere il largo con più vigore. Qualunque risultato politico uscirà dalle urne del 23-26 maggio prossimo per il rinnovo del Parlamento europeo, c’è infatti la ragionevole certezza che i fondi e le iniziative legati al progetto che ha preso il nome dall’umanista e teologo olandese di Rotterdam aumenteranno in misura davvero consistente. Lo si deduce dall’esito del voto con il quale, a fine marzo, l’aula di Strasburgo ha approvato la risoluzione legislativa che lancia il programma per il periodo 2021-2027: i favorevoli sono stati 527, a fronte di appena 30 contrari e 48 astenuti.
Sono i numeri dunque a corroborare la fiducia che almeno questo frutto della seminagione avviata con i Trattati di Roma del 1957 non vada in malora. Perché tra i 'sì' al documento figurano anche diversi esponenti dei gruppi più critici con il processo di unificazione. E se anche fra due mesi il loro numero dovesse dilatarsi, non è pensabile che cambino radicalmente idea. Potrà forse diminuire la cifra globale richiesta dagli eurodeputati uscenti: 45 miliardi di euro, il triplo dello stanziamento per il settennio che si concluderà l’anno prossimo (contro i 30 proposti in origine dalla Commissione). Ma non potrà comunque tradursi in blocchi improvvisi o tagli proditori.
Anche i ciechi, insomma, di fronte alle evidenze riacquistano la vista. Arrivano a percepire che certe iniziative rappresentano un antidoto culturale agli antagonismi e alla disgregazione. Che la conoscenza reciproca e lo scambio di tradizioni e di costumi impliciti nel contatto con altri popoli facilitano la comprensione, abbattono i pregiudizi e pongono le basi per una collaborazione leale, anche di fronte al sopraggiungere di crisi 'esterne'. C’è in altre parole un di più di valore che si autoalimenta e che dà ragione alla nuova denominazione adottata a Bruxelles già dal 2013: non più semplicemente Erasmus, ma 'Erasmus+' (o plus).
Per il prossimo ciclo sono state inserite novità di rilievo, ad esempio sul piano dell’inclusione di fasce più ampie di giovani, finora escluse per ragioni economiche o di salute fisica. Tra l’altro si avvia l’adozione di una 'e-card' europea degli studenti, che consentirà l’accesso a reti di ostelli, musei, teatri e biblioteche convenzionate, per andare incontro ai meno abbienti. Aumenta poi la possibilità di dar vita a partenariati fra atenei e di coinvolgere un maggior numero di docenti di ogni ordine e grado. L’accesso a Erasmus verrà inoltre esteso anche a chi frequenta l’ultimo anno delle scuole superiori o è impegnato in master di secondo grado e dottorati di ricerca.
Aspetti importanti di questa nuova edizione sono infine l’ampliamento dell’orizzonte formativo, attraverso gli scambi nell’apprendistato professionale, in particolare nelle zone frontaliere, e la sinergia con altri programmi dell’Unione in campo sociale e lavorativo, che permetterà anche forme di cofinanziamento in grado di mobilitare risorse finanziarie più consistenti.
Puntare su Erasmus «significa investire sul futuro della Ue», ha dichiarato il relatore del testo, il popolare sloveno Milan Zver. «Questa è l’Europa che si costruisce dal basso, impedendo che nascano nuovi muri», ha commentato l’ italiana Silvia Costa. A nascere, in effetti, sono semmai più cittadini europei, visto che in questi tre decenni si stima in almeno un milione i bambini venuti al mondo grazie a genitori conosciutisi durante l’Erasmus di mamma o di papà!
Gianfranco Marcelli
Avvenire, 9 aprile 2019