UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Via le parole guerra e violenza dai nostri dizionari»

In Piazza di Spagna i “Giovani per la Pace”: il sit-in dei giovani studenti romani organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio
14 Aprile 2022

Poche parole, tanti gesti. Ieri, in una calda mattinata di primavera, erano una nuvola di colori i ragazzi delle scuole medie di Roma, riuniti a piazza di Spagna per il “ Peace mob” di Sant’Egidio. Manifestazioni per la fine del conflitto in Ucraina, quelle organizzate dai “Giovani per la Pace”, che sono diventate a Roma ormai un appuntamento fisso di queste settimane, dopo il sit-in a piazza del Campidoglio e i raduni a piazza Vittorio.

«Siamo qui perché vogliamo che in tutto il mondo si scenda in strada per chiedere la pace», dice Gabriele, 13 anni, prima di salire sul palchetto allestito davanti alla scalinata di Trinità de’ Monti, insieme ad Eleonora, di 14. «La guerra uccide tante persone innocenti – hanno ricordato i due giovanissimi al microfono, emozionati, – noi ragazzi diciamo stop alle bombe! ». Poi, quando srotolano davanti alla fontana della Barcaccia i teloni con i colori della pace, inizia la festa. Già perché la pace per gli adolescenti, più che tante parole, è qualcosa che si vede, si ascolta, si tocca.

«Siamo nati senza guerra, vogliamo anche invecchiarci», si legge su uno dei tanti cartelloni colorati che i ragazzi muovono a tempo di musica. Sono più di cento, da circa dieci scuole della città, e sono molto attenti. Cala il silenzio soltanto quando è il momento di ascoltare le testimonianze di chi ha vissuto la tragedia di un conflitto sulla propria pelle. Per primo il racconto della piccola Maria, fuggita dalla Siria, che ha visto cadere bombe accanto a casa sua. Poi è stato il turno di Lea Polgar, donna ebrea di 89 anni e testimone della Shoah, che, rivolta ai giovani, ha pesato ogni parola. «Ricordo a Roma gli aerei nemici che attraversavano il cielo, quasi oscurandolo, diretti verso il nord Italia, – ha raccontato,– tremava la casa e tremavo io, perché avevo una paura terribile». Poi ha chiesto ai ragazzi di combattere l’indifferenza, di coinvolgere i compagni ucraini nelle loro vite per alleviare le sofferenze di chi piange.

Come Julia e Lilia, di 15 e 17 anni, ucraine a Roma da alcuni anni, ma spezzate a metà, con parte della famiglia a Leopoli. «I nostri padri sono a combattere, – dicono, – Perché tutto questo? Noi siamo una nazione pacifica». Alcuni dei presenti erano poco più che bambini. Arianna e Paolo frequentano la prima media all’istituto Visconti. «Non capiscono che russi e ucraini sono popoli fratelli, – dice seria la ragazza, – che senso ha uccidersi tra fratelli? ». Paolo ascolta e poi interviene: «Gli accordi tra gli Stati servono, sicuramente, ma i soldati devono mettere giù le armi adesso». Quello che gli adolescenti possono fare, hanno spiegato i due 12enni, è «organizzare e partecipare a flash mob come questo». Le professoresse guardano i giovani alunni mentre agitano gli striscioni. «I cartelloni li abbiamo fatti insieme in classe», racconta una docente di matematica del Visconti. Poi Gabriele, 14 anni, legge la lettera dei Giovani per la Pace. «Oggi ci uniamo all’appello di Papa Francesco, – dice – e chiediamo una 'tregua pasquale' al conflitto in Ucraina. Vogliamo un mondo in cui violenza e razzismo, non siano più nei nostri dizionari».

Agnese Palmucci

Avvenire, 14 aprile 2022