Sta suscitando un ampio dibattito l’articolo pubblicato lo scorso 7 giugno su avvenire.it (https:// tinyurl.com/3a5z833m) a proposito della valutazione universitaria. Gli atenei del Sud sono in gran parte peggiori della media italiana? È quello che sembra emergere dai dati ufficiali, ma sinora non resi pubblici dal ministero. Si sa che la valutazione della qualità universitaria è un tema sempre delicato, anche se gli accademici in realtà valutano se stessi. È appena stata diffusa la classifica dei dipartimenti di eccellenza. Nell’attuale classifica, 144 dipartimenti (cioè i raggruppamenti di insegnamenti e docenti per materie omogenee, per esempio: Scienze giuridiche; Biotecnologie mediche, Matematica) hanno ottenuto il punteggio massimo 100. Il 350°, Elettronica e telecomunicazioni al Politecnico di Torino, ha ottenuto 73. Tutti gli altri dipartimenti, più di 400, sono già stati eliminati, ma non è noto il giudizio numerico che hanno raccolto. Il sito di informazione universitaria Roars.it ha però svelato l’intera classifica riferita alla valutazione precedente. Emerge che 119 dipartimenti, la gran parte del Sud e delle Isole, avevano ricevuto una valutazione di 0 (zero) su 100 (ciò non significa che non si sia fatto nulla in termini di ricerca). Inoltre, 236 dipartimenti, circa un terzo, avevano ottenuto meno di 10 su 100. Che cosa se ne deve concludere? Secondo Roars.it, o lo strumento è «un termometro impazzito», oppure c’è una «bancarotta» di una parte della nostra università. Ecco le prime risposte.
Andrea Lavazza
L’ECCELLENZA È SOLO UN FETICCIO. SI RECUPERI CHI RESTA INDIETRO
Una critica motivata alla procedura di misurazione universitaria
Caro direttore, ho letto con interesse l’articolo di Andrea Lavazza del 7 giugno sulle valutazioni dell’Eccellenza ai dipartimenti universitari. L’ho trovato equilibrato e ben informato. Vorrei solo aggiungere una considerazione che merita di essere sottolineata. Sono perfettamente d’accordo con la critica radicale all’Anvur, un organismo che ritengo personalmente opaco e costoso. Per quanto riguarda l’eccellenza, va aggiunto che il peccato originale è nella sua stessa istituzione: se infatti i fondi di eccellenza fossero fondi aggiuntivi, non potrei obiettare seriamente, ma in realtà si tratta di fondi tagliati ai 'non eccellenti'. Dunque, in sintesi, non si tratta di ottenere premialità, ma di evitare tagli.
Questa politica sta cercando di stabilire una gerarchia in un sistema che era relativamente omogeneo, danneggiando una parte dell’università alla ricerca di un feticcio: l’eccellenza. Non sarebbe assai meglio per il Paese innalzare invece la qualità media e recuperare gli atenei che sono più indietro? Se applicassimo in maniera sistematica questa logica ad altri settori, dovremmo chiudere gli ospedali meno efficienti e spostare i malati dal Sud al Nord.
Per chiarezza, specifico che questo discorso non lo faccio perché invidioso di posizioni che sono fuori della mia portata: sono direttore di un dipartimento di eccellenza e quest’anno stiamo concorrendo per la seconda tornata, con un successo ovviamente in nessun modo garantito, ma con una valutazione dell’indice Ispd di 99,50, dunque solo mezzo punto sotto il massimo.
Paolo Liverani, direttore del Dipartimento SAGAS; Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo, Università di Firenze
Avvenire, 15 giugno 2022