UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Valerio in cerca di uno spiraglio oltre la corazza della “non voglia”

Sui banchi, a volte, sembra vincere la noia: ma bisogna guardare più “a fondo”
8 Novembre 2023

«Non c’ho sbatta!»: era questo il motto di Valerio, un ragazzo di terza liceo. Non aveva voglia di fare nulla, quasi mai, qualsiasi fosse la proposta. Non aveva sbatta, appunto. Sbatta, con la a finale; non sbatti, come si sente spesso dire dagli adolescenti. In classe Valerio sprofondava lentamente ma inesorabilmente sotto la linea del banco, con le palpebre che lottavano per restare sollevate. Talvolta il sonno aveva la meglio su di lui. A l biennio, una mattina, la prof di Scienze, irritata di vederlo dormire durante la lezione, lo invitò a scendere nel cortile della scuola, dove c’erano le macchinette, e a prendersi un caffè. Valerio non tornò in classe fino alla fine dell’ora. La prof, preoccupata, scese in cortile a sua volta e lo trovò che dormiva su una panchina, avvolto nel giubbotto. Erano le nove in punto di una gelida mattina di gennaio, ma lui, nonostante il freddo, era nel mondo dei sogni, tranquillo e serafico come un bambino.

Ogni volta che lo rimproveravi per un brutto voto, Valerio si stringeva nelle spalle: «Non sono riuscito a prepararmi. Non c’ho sbatta!». Ogni volta che gli chiedevi perché non avesse studiato, allargava le braccia: «Non ho saputo organizzarmi. Non c’ho sbatta!». Ogni volta che gli domandavi perché entrasse così spesso in ritardo a scuola, la risposta era sempre la stessa: «Non riesco a svegliarmi presto. Non c’ho sbatta!». La mancanza di sbatta era la sua compagna di viaggio, il suo alibi per tutto, la sua corazza impenetrabile. Genitori e insegnanti erano esasperati. Come smuoverlo? Durante i tre giorni dell’uscita didattica della sua classe, il livello della sbatta di Valerio precipitò ulteriormente. Eravamo in Toscana, avevamo cercato di proporre un programma il più vario e stimolante possibile. Ma niente, le proposte non ebbero alcun effetto sulla sbatta di Valerio. «Prof, oggi cosa facciamo?». «Andiamo a Lucca, una città stupenda. Noleggiamo delle biciclette e facciamo il giro delle mura, stando proprio sopra. È un’esperienza molto affascinante». «Cosa? C’è da pedalare?». «Sì, Valerio. Ovvio. Non noleggiamo bici elettriche, quindi non si muovono da sole. Ma sei giovane e forte, puoi farcela, ne sono certo». «No! Non c’ho sbatta!». Il giorno seguente, stessa scena. «Prof, oggi cosa facciamo?». «Andiamo alla tenuta di San Rossore, un enorme parco tra i più belli d’Italia. Pensa che in passato apparteneva al Presidente della Repubblica». «E quando siamo nel parco?». «Lo visitiamo con un naturalista. Percorriamo alcuni sentieri. Vediamo diversi animali, arriviamo fino al mare». «Cosa? C’è da camminare?». «Ovvio, Valerio. Non puoi percorrere i sentieri in monopattino elettrico». «No! Non c’ho sbatta!». «Ma come? È un posto stupendo!». «E allora perché il Presidente della Repubblica lo ha ceduto? Glielo dico io, prof: perché neanche lui c’aveva più sbatta di andare in giro a piedi!».

Mi arresi, non replicai. Mi rassegnai a trascinarmi dietro Valerio, sempre ultimo, in coda al gruppo, per i tre giorni della gita. Quando salimmo sul pullman per tornare a casa, Valerio si schiantò su un sedile, si infilò le cuffie e finalmente tacque. Pensavo che i suoi problemi con la sbatta fossero finiti, almeno per quel giorno. Ma l’autista, a un certo punto, si fermò in un autogrill. Scendemmo. Valerio mi chiese: «Prof, quanto manca ad arrivare a casa?». Valutai un istante a che punto eravamo: «Senza traffico, circa un’ora e mezza» risposi. «Cosa? Ancora? Ma io non c’ho sbatta!». Mi arrabbiai: «Valerio, hai proprio stancato! Se devi camminare, non c’hai sbatta; se devi pedalare, non c’hai sbatta; ogni volta che vai in giro, non c’hai sbatta; neanche di stare seduto fermo su un pullman c’hai sbatta? Non è possibile! Sei vivo, sei giovane, hai un futuro davanti: deve esserci qualcosa che c’hai sbatta di fare! Una cosa sola, magari, ma almeno una sì. La tua vita deve avere un senso! Adesso mi dici una cosa per cui c’hai sbatta! Devi trovarla per forza!». I compagni di classe si erano fermati a semicerchio intorno a me e a Valerio. Volevano assistere alla sfida, vedere come sarebbe finita. Valerio non si sottrasse: «Prof, ha ragione. In effetti, c’è una cosa che ho sempre sbatta di fare, lo ammetto». «Cos’è?» lo incalzai, incuriosito. «Eh, prof, non glielo posso dire. Mi vergogno». Tutti si misero a ridacchiare. Valerio finse indignazione: «Oh, a cosa state pensando?

Non è niente di inopportuno, per chi mi avete preso? Non posso dire cos’è perché mi imbarazza. Sono un timido, lo sapete». La mia curiosità crebbe ancora: «Dai, dillo, Valerio. Che ti costa?». «No, prof, mi vergogno troppo, davvero. Non insista». Ma ormai non ero più solo io a insistere. Ormai insistevano tutti i compagni: «Dai, dai, dai! Adesso ce lo devi dire! Non ti puoi tirare indietro!». Valerio resistette ancora, ma per poco. Alla fine dovette cedere alle sempre più forti proteste di tutti per il suo ostinato silenzio. «O k, ok – disse –. La cosa che c’ho sempre sbatta di fare, prof, è leggere i libri che lei ci dà da leggere a scuola». Tutti tacquero di fronte a questa incredibile rivelazione. Io mi sentii riempire di orgoglio fino alla punta dei capelli. Ma durò un solo istante, perché Valerio aggiunse: « Però non li leggo, perché non c’ho sbatta!». I compagni scoppiarono a ridere. Risi anche io molto. Mi caddero le braccia, ma non fino in fondo. Perché, in effetti, Valerio quei libri li leggeva: era uno dei primi a terminarli. Si appassionava, mi fermava all’intervallo o in giro per la scuola, ci teneva a farmi sapere i suoi commenti in anteprima. Elogiava un romanzo, diceva che invece un altro non gli era piaciuto. Esaltava l’atteggiamento di un personaggio, affermava invece di non condividere per nulla le scelte di un altro. E portava a casa, leggendo, uno dei doni più preziosi che la scuola può dare: il senso critico.

Dietro la corazza della sua perenne svogliatezza, Valerio di senso critico ne aveva da vendere. Quando in classe discutevamo di un romanzo, mostrava una capacità argomentativa eccellente. Sapeva contestare i compagni e me dicendo la sua, sapeva sostenere benissimo le sue opinioni. Non diceva nulla per compiacere gli altri o il docente, esprimeva apertamente ciò su cui aveva riflettuto. Alla fine del nostro percorso insieme, Valerio mi scrisse un messaggio del tutto inaspettato: « Prof, sa che cosa ho imparato da lei in questi anni? A non pensarla come lei». Rimasi perplesso; anche un po’ dispiaciuto, lo ammetto. Ma, quando continuò, sorrisi: « Io ho una visione della vita, della fede, dei valori e pure della politica completamente diversa dalla sua – aveva aggiunto Valerio –. Però, tutte le volte che ho esposto le mie idee, mi sono sempre sentito rispettato e accolto nella mia diversità di vedute. E, mi creda, ho rispettato il suo pensiero, sempre».

Con quel messaggio, Valerio mi ha ricordato che per un insegnante il dono più prezioso non è avere allievi che la pensano per forza come lui, ma avere allievi che la pensano come vogliono loro. A volte, presi da un po’ di narcisismo, noi prof vorremmo che le nostre studentesse e i nostri studenti condividessero i nostri stessi valori, che avessero la nostra stessa sensibilità. Vorremmo essere convincenti, trasmettere loro ciò che riteniamo giusto, far gustare loro ciò che a noi sembra bello. Ma non sempre ci riusciamo, e per fortuna.

Perché l’insegnamento, a volte, è un incontro di pugilato, dove si cerca di mettere l’altro al tappeto, più che una gara di canottaggio, dove si rema tutti nella stessa direzione. Si cresce anche così, nel confronto talvolta aspro, nelle divergenze che non sempre si ricompongono, ma che possono comunque ospitare il rispetto reciproco. L’impresa più difficile è trovare qualcosa che sappia infrangere il muro del “non c’ho sbatta”, che sappia attivare il cuore e il cervello. Che porti il singolo a dire chi è, ad alta voce, davanti a tutti, senza paura.

Marco Erba, insegnante e scrittore

Avvenire, 7 novembre 2023