Nel generale rimescolamento di carte dei processi scientifici, culturali e formativi l’Università è chiamata a ripensare se stessa, a riposizionarsi rispetto a una situazione complessa, in movimento, ricca di contraddizioni. La formazione trascende oggi i suoi ambiti tradizionali e viene ad assumere perlomeno un duplice ruolo: da un lato, essa si configura quale risorsa economica e quale fattore di competitività del sistema Paese; dall’altro, come fondamentale diritto di cittadinanza ovvero come garanzia di libertà rispetto a più futuri possibili.
Il cambiamento è oggi sempre più rapido, i cicli di vita delle conoscenze, delle tecnologie, dei prodotti, dei servizi si accorciano sempre di più. Le esperienze acquisite attraverso lo studio, il lavoro e la ricerca si bruciano in tempi molto brevi. L’Università deve sapersi misurare con esigenze formative sempre più diversificate e articolate nell’ambito di un nuovo intreccio studio-lavoro. Occorre pertanto saper riflettere in termini dinamici, pensare a persone che nell’arco della vita svolgeranno percorsi individuali e collettivi il cui esito sarà dato dalla loro qualità intrinseca, qualità alimentata dalla formazione, ma anche dalla rete delle condizioni e delle occasioni di promozione e di valorizzazione esistenti nel sistema sociale. Un giovane per potersi muovere efficacemente nell’ambito di questa rete di opportunità non ha bisogno tanto o soltanto di nozioni, ha bisogno piuttosto di 'saper essere' e quindi 'di saper fare'. Più specificatamente deve essere posto in grado di definire e risolvere problemi; deve imparare a conoscere i codici dei sistemi nei quali opera; deve essere capace di controllare i processi, pronto all’innovazione e all’accumulo del sapere, disposto a cooperare costruttivamente.
L’Università è chiamata a misurarsi non soltanto con esigenze formative sempre più diversificate, ma anche con una ricerca pervasiva e multidirezionale, che va avanti attraverso l’ibridazione dei saperi. Certamente nell’ambito della ricerca anche le imprese e le istituzioni devono fare la loro parte. Il problema non è però quello di giocare allo scaricabarile. Occorre semmai creare le condizioni per un incontro costruttivo tra la ricerca di base, sempre più necessaria, la ricerca applicata e la diffusione dell’innovazione sul territorio dando vita a nuove funzioni e a nuove strutture collaborative. Per soddisfare tali esigenze, per procedere in direzione di un suo riposizionamento strategico, l’Università deve dotarsi di una capacità di lettura del cambiamento nonché di promozione, non subalterna o acritica, di interfacce con il sistema socioeconomico territoriale, concorrendo anche a proiettare i sistemi locali in cui essa opera in un contesto internazionale più ampio. Nel contempo, l’Università deve realizzare una capacità moltiplicativa e diversificata dei suoi servizi, mettendo a fattore comune più facoltà o scuole, più dipartimenti, rompendo tutta una serie di compartimenti stagni sia organizzativi sia comunicativi che oggi impediscono sovente la consecuzione delle indispensabili masse critiche.
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Lorenzo Caselli
Professore emerito Università di Genova
Avvenire, 1 novembre 2018