Il contesto è spesso sostanza più che semplice forma. La scelta di Matera per l’annuale seminario dei teologi e degli assistenti pastorali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che si è aperto lunedì e si chiude oggi, è stata di ispirazione a partecipanti e relatori. Una città del profondo sud che si ritrova proiettata all’attenzione dell’Europa, come Capitale della cultura 2019, ma brulicante di turisti provenienti anche da Australia, Giappone, Stati Uniti, che cerca di fare del proprio tesoro di storia e bellezza un volano per il proprio futuro: tutto questo invita a pensare al rapporto tra cultura e territorio, tra cultura e società. Il che è anche ciò di cui si sono occupati i circa 50 convegnisti riunitisi a riflettere sulla «Terza missione dell’Università », ovvero l’interazione della Cattolica con il mondo esterno alle sue aule.
Così, mentre fra i Sassi in questi giorni si girano tra l’altro le scene del 25° film della saga di 007, con Daniel Craig che attizza la curiosità dei materani, altro elemento di internazionalità, negli spazi di Casa Sant’Anna si è parlato del futuro dell’ateneo fondato da padre Agostino Gemelli alla luce della sua storia centenaria. Molti gli spunti di riflessione e anche le provocazioni martedì, da quelle di Ernesto Diaco, direttore dell’Ufficio per l’educazione, la scuola e l’università della Cei, che ha posto l’accento sul rischio per l’università di rimanere un’entità “funzionale al sistema”, a quelle del teologo della Cattolica don Claudio Stercal, che pur non presente (il suo intervento è stato letto dal moderatore don Pier Davide Guenzi) ha auspicato una «missione politica» dell’ateneo nei confronti delle istituzioni e «un ruolo degli intellettuali come coscienza critica ».
Ieri a tenere banco è stato invece il rapporto tra teologia e innovazioni scientifiche, in particolare la rivoluzione digitale: quella «trasformazione della comunicazione da trasmissione di messaggi e di informazioni a vero e proprio ambiente di vita » secondo il filosofo dell’Università di Pisa, Adriano Fabris, e che ci presenta «corpi-immagini virtuali», ibridi che sfuggono alla «distinzione tra oggetti ed eventi», secondo il filosofo della Cattolica Roberto Diodato. I teologi don Luca Peyron e don Raffaele Maiolini hanno ricordato rispettivamente la necessità di «accompagnare i cambiamenti tecnologici senza cadere nella polarizzazione tra entusiasti e cacciatori di streghe» e la «fiducia come luogo originario e originante dell’umano nella sua relazione con se stesso, con gli altri, con la realtà… e con l’Altro». Un sano richiamo quest’ultimo al valore delle relazioni vere, non solo virtuali o mentali, che un intervento dalla platea ha voluto sottolineare con la citazione di una lettera di un insospettabile, Karl Marx. Il quale nel 1856 così scriveva a sua moglie: «Io mi sento di nuovo un uomo perché provo una grande passione. La molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impegnano e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive sono fatti apposta per farci tutti piccoli, deboli, lamentosi e irresoluti. Ma l’amore, non per l’uomo di Feuerbach, non per il proletariato bensì l’amore per l’amata, per te, fa dell’uomo nuovamente un uomo».
Andrea Galli
Avvenire, 12 settembre 2019