L’intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini ha rilanciato il tema dell’educazione come fattore fondamentale per lo sviluppo, ma con questo è emerso anche il tema della formazione delle classi dirigenti quando – con enfasi – l’ex presidente della Bce ha richiamato la necessità di disporre di governanti, che sappiano vedere oltre l’emergenza. È infatti nei momenti di più profonda crisi che occorre guardare oltre la crisi, per portare tutto il Paese fuori dalla trappola della bassa crescita, che ci ha visti giungere impreparati all’appuntamento fatale con la pandemia.
Nei giorni in cui tutto il dibattito sembra concentrarsi sulle misure emergenziali per contenere il rischio di una nuova ondata di virus, la riflessione sulla scuola sembra ridursi ai centimetri fra bocca e bocca, alla forma dei banchi, al prelievo delle temperature, misure certamente necessarie ma non sufficienti per far ripartire un sistema educativo che deve avere come proprio mandato quello di formare le persone per ricostruire le nostre comunità, che giungono oggi duramente provate non solo da sei mesi di pandemia, ma da anni di individualismo e populismo.
Qui si pone il tema, oggi ineludibile, della formazione delle classi dirigenti del Paese, argomento che è diventato quasi un tabù, in un’epoca che parsa a lungo disconoscere sia le competenze che le esperienze. D’altra parte la scuola sembra essere diventata un ascensore immobile, non più in grado di portare chiunque ne abbia capacità e volontà verso i piani più alti della nostra struttura economica e sociale; già prima della pandemia in Italia quasi un ragazzo su due aveva un diploma che non era sufficiente a garantirgli un lavoro e nel Sud solo un diplomato su tre trovava al termine dei suoi studi un’attività lavorativa; la stessa laurea non è più garanzia di crescita sociale, se poco meno di 4 laureati su dieci in Italia – ma quasi 6 su dieci nel Mezzogiorno – non trovavano già prima del coronavirus soddisfazione alle loro ambizioni di lavoro.
Ricostruire curricula scolastici che permettano quindi di formare i ragazzi a conquistare competenze, abilità e capacità di giudizio diviene necessario, ma diviene altrettanto necessario che queste siano riconosciute e condivise dalle imprese, dalle istituzioni, dalla società tutta come condizioni necessarie per lo sviluppo. Se nel secolo scorso queste competenze erano frammentate, specialistiche, gerarchiche, oggi le competenze per lo sviluppo si basano sulla capacità di affrontare l’incertezza, di gestire situazioni complesse, di fare squadra, ponendo ciascuno nella condizione di esprimere al meglio i propri talenti, in altre parole occorre formare le persone a esprimere la loro capacità di costruire solidarietà e consolidare la comunità. I nuovi leader in particolare debbono avere competenze per far tesoro delle proprie esperienze, ma anche valorizzare le abilità e le conoscenze di quanti operano insieme per una crescita, che deve necessariamente avere l’ambizione di prolungarsi nel tempo, perché socialmente e umanamente, oltre che ambientalmente sostenibile.
Questa considerazione diviene sempre più necessaria per le stesse imprese, che richiedono scuole - e in molti casi stanno provvedendo a fornirsi di proprie strutture formative - per rispondere non solo alle loro esigenze tecniche ma sempre più per disporre di persone, sia in posizioni apicali che intermedie, in grado di vedere oltre la siepe dell’incertezza. Questa stessa considerazione diviene oggi sempre più pressante per chi si candida a guidare la res publica, dove per troppo tempo le carriere si sono forgiate al di fuori – e a volte contro – la scuola, in una separatezza nei confronti della società che nonostante le molte dichiarazioni sembra essersi allargata in questa fase di incertezza dilagante.
Formare le classi dirigenti è stata per secoli il primo mandato della scuola, anche perpetuando vecchi privilegi. Oggi questo mandato deve rinnovarsi permettendo a ognuno di formarsi come persona e come cittadino, come prescrive la nostra Costituzione, ma anche formando coloro che si candidano a essere di riferimento della propria comunità, sia in posizioni di governo che di rappresentanza – sia a livello locale, che regionale, che nazionale – ritrovando un’autorevolezza che possa fondarsi su adeguate competenze ed esperienze. Ritrovare nella scuola un ascensore sociale, che possa permettere a chiunque di ritrovare il proprio posizionamento sociale diventa tanto necessario come di una struttura educativa che possa formare le competenze di chi vuole mettere a disposizione della Comunità la propria esperienza e quindi la propria autorevolezza.
Patrizio Bianchi
Cattedra Unesco Educazione, crescita ed eguaglianza, Università di Ferrara
Avvenire, 3 settembre 2020