UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Studenti costruttori di pace nella scuola aperta e inclusiva»

Intervista all’ex ministro dell’Istruzione, oggi coordinatore della rete delle cattedre Unesco in Italia, Patrizio Bianchi
7 Novembre 2023

«Soprattutto in questo momento, è fondamentale fare passare tra gli studenti l’idea che la scuola serve anche per costruire la pace, perché il mondo ha sempre più bisogno di giovani che siamo esploratori, ambasciatori, costruttori di ponti di pace». Anche da ministro dell’Istruzione del governo Draghi e, oggi, da coordinatore della rete delle 43 cattedre Unesco in Italia, Patrizio Bianchi non ha mai smesso i panni dell’educatore. Del resto, ha trascorso gran parte della vita in mezzo ai giovani, come docente universitario tra Trento, Udine, Bologna e, soprattutto Ferrara, dove è stato anche rettore dal 2004 al 2010. E oggi, proprio con lo sguardo dell’educatore, osserva con preoccupazione crescente l’avanzata dell’antisemitismo, prima con gli slogan dei cortei contro Israele e ora con veri e propri atti vandalici contro i simboli della memoria della Shoah, come lo sfregio alle pietre d’inciampo.

Professore, che cosa sta succedendo alla nostra società?

L’Unesco, dopo 50 anni, lo scorso 12 luglio ha approvato le nuove Raccomandazioni sull’educazione alla pace. L’idea di fondo è che la pace va tutt’uno con le libertà fondamentali, lo sviluppo sostenibile e lo sviluppo umano. Oggi educare alla pace significa educare ai diritti delle persone e al rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali che sono precondizione per lo sviluppo. Quindi, è chiaro che gli slogan antisemiti non sono per nulla accettabili, così come vandalizzare le pietre d’inciampo. Questi episodi ci ricordano che il silenzio e l’indifferenza non possono essere la nostra cifra in questo momento storico.

Come parlare di pace in questa fase così drammatica?

Su questo sia papa Francesco che il presidente Mattarella dicono parole straordinarie. Ci ricordano che la pace non è l’assenza di guerra, ma che occorre costruire le condizioni per la pace. Ai nostri ragazzi dobbiamo ricordare che la pace si costruisce col paziente lavoro di anni.

Come gli studenti possono diventare ambasciatori di pace?

Partendo dallo studio dell’altro, insieme. Questo è un dovere fondamentale della scuola. Aprire scuole e università a studenti con storie e tradizioni diverse, deve essere visto come elemento di ricchezza per il nostro Paese. Dobbiamo costruire la comunità trasformando la società. È il nostro compito dei prossimi anni e va fatto nella scuola.

«Cambiare educazione per cambiare il mondo» è la nuova parola d’ordine dell’Onu: da dove si comincia?

Dai quattro pilastri dell’educazione individuati dall’Unesco fin dal 1995 e così riassunti da due grandi personalità come Jacques Delors ed Edgar Morin. I ragazzi devono imparare a fare quattro cose: imparare ad imparare, imparare a fare, imparare a essere, imparare a lavorare e vivere insieme. Da quasi trent’anni, questi quattro pilastri ci dicono che la scuola deve essere aperta, in grado di accogliere giovani dalle storie diverse. Deve essere inclusiva e affettuosa, cioè capace di costruire legami che durino al di là delle cose. Come don Lorenzo Milani, sono assolutamente convinto che la scuola debba costruire dei legami oltre il contingente.

C’è ancora speranza, allora?

Verso la fine degli anni ‘90, con l’avanzata della globalizzazione, si pensava che la storia fosse finita, con la fine della contrapposizione Usa-Urss. E che il mondo globale sarebbe stato un mondo senza guerre. La seconda illusione era che il mercato avrebbe regolato i conflitti e che non ci sarebbe stato più bisogno dello Stato. Terza illusione: le nuove tecnologie digitali avrebbero creato un mondo democratico perfetto. Rendendo inutile la mediazione della politica: bastava il telefonino. Dopo quasi trent’anni il mondo è ancora più in guerra di prima, il mercato non è in grado di regolare la società e si deve recuperare un’idea di Stato capace di costruire comunità di base. In questo contesto, di fronte alle guerre che insanguinano il mondo, è assolutamente obbligatorio avere speranza. Non abbiamo il diritto di perderla. Lo dobbiamo a noi, ma soprattutto ai nostri ragazzi. Perché imparino a vivere insieme. In pace.

Paolo Ferrario

Avvenire, 4 novembre 2023