Qualche giorno fa una delle periferie difficili del nostro Paese era al centro dell’attenzione di tutti i mezzi d’informazione per un tragico episodio che riportava sotto i riflettori i problemi, mai risolti, anzi sempre più incancreniti, di comunità e luoghi dimenticati e abbandonati dove violenza e sopraffazione prosperano.
In tutto questo, nella riflessione fatta da molti, è emerso il bisogno fortissimo di luoghi di “speranza”: di Scuole. Scuole come “fari” posti a segnalare la strada del riscatto dall’asservimento all’ignoranza e alla violenza; scuole come polmoni che danno ossigeno e vita alle generazioni schiacciate dal peso di essere nate in luoghi dove è difficile “vedere” il cielo. Ci sembra questo, ancora una volta, un segnale fortissimo che ci richiama tutti a mettere al centro della nostra azione i nostri figli, bisognosi di un terreno fertile per crescere. Per fare questo abbiamo bisogno di concretizzare nei fatti quella alleanza educativa invocata certo da tutti , ma che sicuramente per noi genitori di Agesc è il fulcro dell’educare e di ogni progetto educativo.
Adulti “significativi” e giovani con il desiderio di diventare “grandi”. Di recente un’emittente locale ha riproposto uno dei film più belli di Clint Eastwood: Gran Torino. Il film è la storia di un incontro che cambia e “salva” la vita di un giovane: l’incontro tra un anziano e un ragazzino. Un incontro che cambia però anche la vita dell’adulto protagonista della storia, che ritrova il senso di un’esistenza che sembrava perduto.
Le scuole devono essere proprio questo: il luogo di un incontro che ti cambia, ti fa crescere, ti fa prendere il volo. Tutto questo con l’apporto indispensabile dei genitori, delle famiglie, a partire da quell’atteggiamento di corresponsabilità che solo può generare fiducia reciproca e quindi continuità di educazione. Corresponsabilità che, prima ancora che un patto, è vincolo per una crescita comune e strumento indispensabile per dare forma e concretezza ad un futuro migliore: per i ragazzi e per noi adulti, genitori, insegnanti… Nella giornata dell’8 settembre, monsignor Domenico Pompili, vescovo di Verona, consegnava ai fedeli della sua diocesi la sua prima lettera pastorale che ha come filo conduttore “Il Silenzio”.
In particolare, un capitolo è stato dedicato al silenzio degli adolescenti: silenzio che noi adulti troppo spesso interpretiamo esclusivamente come distrazione o chiusura nei social divenuti quasi tombe. «Talora i ragazzi si infilano in un mondo parallelo - scrive monsignor Pompili - perché il nostro mondo non sempre li ospita, li capisce. Spesso stanno in silenzio perché non possiedono un alfabeto comunicativo. Non riescono a dare una voce ai loro sentimenti. E non di rado trovano anche in noi adulti degli “analfabeti” degli affetti». «Solo se noi facciamo più silenzio – conclude il vescovo - le loro parole, talvolta soffocate, impaurite, potranno risuonare, insieme al loro canto, alla loro voglia di vivere».
Parole forti che provocano non solo la nostra riflessione ma anche la nostra essenza di genitori, di adulti. Come comunità politica, come scuola, come Chiesa su questo dobbiamo interrogaci ed anche misurarci. La nostra presidente dalle colonne di questo giornale la scorsa settimana esordiva, nel suo messaggio di augurio di inizio anno scolastico, con una affermazione importante: «Guardo con ottimismo allo scenario che si prospetta per i prossimi mesi», scriveva Catia Zambon.
È questa “Speranza” che deve animare la nostra presenza nelle scuole, è il bisogno di “abitare” i luoghi dell’educazione a partire dalla scuola che deve quasi tormentarci, come diceva don Tonino Bello; è l’amore per i nostri figli che ci deve portare ad aumentare la nostra capacità di ascolto ed il nostro operoso silenzio perché i nostri figli parlino e si sentano accanto adulti compagni di viaggio.
In un recente sondaggio ripreso da radio e televisioni si riportava lo stato d’animo con i quali gli studenti più grandicelli hanno affrontato il ritorno in classe. Sondaggio per certi versi impietoso che mette in risalto la fatica della ripresa. Il nostro sogno e desiderio è che questi ragazzi che temono il ritorno a scuola siano sempre meno, perché accolti in maniera diversa e custoditi da una comunità educante che ci vede tutti uniti. Per non correre il rischio di diventare un Paese distratto che parla dei giovani ma non “con i giovani”.
Avvenire, 15 settembre 2023