Il metodo dell’educazione nutre il coraggio della speranza e rende globale lo sguardo. È quel che legge dentro il discorso del Papa agli ambasciatori in Vaticano il fondatore e presidente di Rondine, Franco Vaccari, che nelle parole di Francesco trova – «con grande gioia» – il lavoro portato avanti da 21 anni con passione artigiana nella “sua” Cittadella della Pace con sede nel minuscolo borgo aretino e vista sul mondo intero. A forza di pensare in grande, ispirato dagli orizzonti di Giorgio La Pira, Vaccari ha formato centinaia di giovani arrivati da Paesi in conflitto insegnandogli a «far scoppiare la pace» una volta tornati a casa. E ora sta conducendo in porto il nuovo sogno, la «Global Leader School» grazie all’impegno diretto dei Paesi che hanno scoperto lo 'stile Rondine' nei suoi interventi all’Onu, l’ultimo un mese fa.
Qual è per lei la chiave di quel che dice il Papa alla comunità internazionale?
L’idea della speranza che sgorga proprio nel mezzo di ciò che sembra spegnerla, dentro il buio delle grandi crisi: una speranza realista. La pace è una luce che splende dentro la tenebra della storia, e si nutre della consapevolezza piena dei fatti che la negano. Diversamente non nasce la speranza ma l’illusione che, una volta smascherata, diventa disperazione, cinismo, indifferenza. Ovvero ciò che rende endemiche e 'dimenticate' crisi come quelle denunciate dal Papa, tra tutte lo Yemen. La speranza che indica il Papa si fonda sulla consapevolezza dei drammi di cui siamo testimoni.
Le organizzazioni internazionali oggi non sembrano in grado di alimentare una simile speranza di pace. Cosa devono fare?
Francesco spende parole severe sul loro conto, il multilateralismo resta evanescente se non è fondato su una visione condivisa della persona umana capace di ispirare tutta l’azione delle istituzioni, e la loro stessa struttura. Nei miei colloqui all’Onu ho trovato grande attenzione alla necessità di ritrovare un dialogo con la società civile sapendo che altrimenti si rischia di veder svuotate istituzioni nate con un grande sogno e ora incapaci di trovare parole comuni. Come anche l’Europa. Una crisi della quale non si vede la soluzione.
Quale può essere?
Rispondo citando Igino Giordani, come ho fatto aprendo l’ultimo discorso alle Nazioni Unite: «Non basta il riarmo e neppure il disarmo per rimuovere il pericolo della guerra. Occorre rimuovere lo spirito di aggressione, sfruttamento ed egemonia, dal quale la guerra viene. Occorre ricostruire una coscienza». E la coscienza si ricostruisce in un solo modo: con l’educazione.
Che è il metodo di Rondine. Su una scala così ampia, può davvero funzionare?
Non conosco una soluzione altrettanto efficace. L’espressione del Papa è splendida: il 'villaggio dell’educazione', dove gli adulti ritrovano coscienza di una responsabilità con i giovani che non è solo degli specialisti ma di tutti. Ogni relazione è educativa perché conduce a scoprire l’altro al di fuori di me, il noi oltre l’io, fino a rendere l’inclusione dell’altro nel mio orizzonte il metodo stesso della vita personale e sociale. Una seconda pelle. È da questa apertura che passa la costruzione di una speranza che per questo non sarà mai utopia ma realismo.
Da dove si comincia?
Da ciò che è a portata di mano per tutti: il rapporto con gli altri, interpreti di una differenza che posso imparare ad accogliere. Vale in famiglia, nella società, nella Chiesa, e anche su scala globale. È un tesoro nelle mani di tutti, che ci permette di non cedere all’idea che siamo irrilevanti al cospetto dei grandi drammi del mondo. Possiamo agire, contare. È il miglior antidoto alla paura.
Francesco Ognibene
Avvenire, 10 gennaio 2020