Gentile direttore, vorrei fare alcune considerazioni e precisazioni in relazione al commento pubblicato il 10 gennaio, dal titolo «Difendiamo i bambini dagli smartphone», a firma di Daniele Novara. In esso si critica l’istituzione, da parte del Ministero, di una commissione creata – scrive Novara – «per valutare l’eventuale uso didattico degli smartphone a scuola».
Ci tengo innanzitutto a puntualizzare che la commissione, costituita non da fanatici delle tecnologie, ma da filosofi, pedagogisti, esperti di comunicazione, docenti e dirigenti scolastici, ha lo scopo di produrre un documento che fornisca agli insegnanti approfondimenti e riflessioni sui mutamenti dello scenario culturale ed educativo provocati dalla diffusione sociale dei dispositivi mobili – non solo gli smartphone. L’obiettivo, quindi, non è tanto promuovere l’insegnamento attraverso l’utilizzo dei dispositivi mobili, responsabilità che resta in capo alle autonome scelte didattiche delle singole scuole, ma favorire l’acquisizione di strumenti culturali e pedagogici per insegnare alle e agli adolescenti di oggi che usano quotidianamente i device.
Nell’intento di fornire questi spunti di riflessione, la commissione è partita da due assunti di grande rilievo. Il primo, di carattere filosofico, è che la consapevolezza, al contrario del rigetto, dei dispositivi mobili e della loro ormai capillare diffusione, permette a chi si occupa di educazione e formazione di relazionarsi in modo più efficace con strumenti che hanno cambiato e stanno cambiando la cultura e le esperienze diffuse della società contemporanea, investendo anche la dimensione etica dei valori, delle identità e dei comportamenti collettivi.
Il secondo assunto della Commissione è che i 'nativi digitali' hanno necessità di conoscere ed essere educati agli ambienti digitali, analogamente a quanto avviene per coloro che usano una lingua 'per nascita', che hanno comunque la necessità di conoscere l’ortografia e la grammatica. Avere a che fare con 'nativi digitali', quindi, non può e non deve deresponsabilizzare gli adulti dai propri compiti educativi. La commissione – che sta terminando il lavoro con la produzione di un documento finale equilibrato e di supporto alle scuole – rappresenta quindi un modo non di prendere posizione a prescindere su smartphone e altri device, ma di interrogarsi su dinamiche che sono inevitabilmente connesse alla funzione educativa.
Limitarsi a vietare ogni tipo di device in classe non avrebbe altro risultato che tenere la scuola lontana da uno spazio sociale e culturale – oltre che tecnologico – che oggi è determinante nella vita dei più giovani, e non solo.
Significherebbe chiudere gli occhi di fronte al telefonino tenuto in tasca e usato per scambiarsi messaggi, e significherebbe soprattutto lasciare ragazze e ragazzi soli, senza accompagnamento e senza educazione nell’uso degli strumenti.
È quello che non vogliamo: non vogliamo rinunciare a questa responsabilità educativa, vogliamo invece assumerla in pieno e fare in modo, nella massima condivisione e collaborazione con le famiglie, che la scuola sia il luogo dove si impara anche a stare in rete, a ricercare informazioni e approfondire, a relazionarsi in modo rispettoso.
Non è compito del Ministero o della scuola decidere se i device sono bene o male, ma lo è insegnare ad usarli nel modo più utile e corretto. Per permettere a ogni bambina e ogni bambino di avere esperienze sicure, libere e consapevoli, contrastando in modo positivo e attivo, non con divieti ma proprio con l’educazione, ogni tipo di dipendenza, anche dagli strumenti tecnologici.
Valeria Fedeli, Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Avvenire, 11 gennaio 2018
Ecco gli altri interventi sul tema:
Daniele Novara - Difendiamo i bambini dagli smartphone
Lamberto Maffei - Perché dico «no» all’uso dello smartphone in classe
Roberto Carnero - Gli smartphone in classe? No, ci vuole un po' di sconnessione
Carlo Bellieni - Tv, pc, tablet e smartphone perché ai bimbi fanno male