Nel 1967 con la legge 517 l’Italia divenne sostanzialmente il primo paese al mondo ad abolire le classi differenziali nelle scuole. Addirittura tre anni prima della ben più nota Legge Basaglia che chiuse definitivamente i cosiddetti Manicomi. L’onda del 68 pedagogico, le voci di don Lorenzo Milani, Mario Lodi, Danilo Dolci e tanti altri protagonisti di quei caldi anni di rinnovamento, permisero all’Italia di collocarsi all’apice delle Nazioni civili per quanto riguardava le politiche scolastiche di inclusione, contro ogni forma di emarginazione e allontanamento. Fu vera gloria? Furono solo promesse scritte sull’acqua? L’esperienza e la testimonianza di don Sandro Lagomarsini, raccolte nel bel libro, oggi ristampato a distanza di 10 anni L’ultimo banco, denunciano con chiarezza ma senza toni altisonanti che le cose non sono andate come previsto e che i fantasmi fatti uscire dalla porta principale hanno finito col rientrare nell’Istituzione scolastica dagli ingressi secondari. L’ultimo banco è sempre lì pronto a ricevere il Pierino di turno, sempre ben caldo per chi fa fatica nella didattica tradizionale e soffre una scuola troppo intellettualistica, spesso lontana dal mondo vitale degli alunni.
Scrive l’autore «Schede e schede da riempire quaderni e libri di schede: tutto prepensato e precostruito. Ho confrontato un libro di esercizi graduati di aritmetica e geometria del 1979 con uno (per la stessa classe) del 2016. Nel più recente il frazionamento delle procedure ha raggiunto un livello forse insuperabile: ma siamo sicuri che questa è la strada per giungere alla padronanza del pensiero logico e matematico? E mi viene un dubbio: disponendo di questi strumenti, a che serve una preparazione universitaria?».
La scuola è ferma, in ostaggio delle sue carenze, delle sue incertezze e specialmente della mancanza di un progetto comune, di un riconoscimento condiviso, di un investimento che vada oltre al mettere una lavagna interattiva in ogni aula. Viene da chiedersi se le classi differenziali non siano state semplicemente sostituite da un eccesso di neurocertificazioni scolastiche che ha letteralmente invaso le nostre scuole senza ottenere alcun risultato in termini di sviluppo delle capacità e delle competenze degli alunni. Si 'classificano' le difficoltà dei ragazzi e pazienza. Ma che senso ha adottare per un ragazzo un programma semplificato (con apposita sigla) e poi farlo ripetere?
Quando a distanza di 10 anni un libro di denuncia come questo di don Sandro viene ripubblicato vuol dire che i problemi sono ancora sul tappeto, che ben poco è stato fatto per ridurre le ingiustizie scolastiche e dare speranza ai tanti alunni che vedono nella scuola una possibilità di riscatto. L’ossessione del giudizio, di una valutazione continua e opprimente riduce la Scuola a un tribunale dove gli insegnanti sono i controllori di un processo che non porta a un reale apprendimento se non a quello mnemonico ripetitivo. Il ritorno dei voti numerici alle elementari e l’insistenza delle prove Invalsi a crocette hanno contratto ulteriormente gli spazi per una Scuola della cooperazione, del laboratorio, della ricerca, della condivisione dell’espressione infantile e adolescenziale.
Nel 1968 don Sandro ha dato vita a Cassego, un borgo appenninico nell’entroterra di La Spezia, a un doposcuola popolare che ebbe un’ampia risonanza per lo spirito di questo straordinario educatore. Sulle orme di don Lorenzo Milani e oggi di papa Francesco, don Sandro con questo libro rilancia il suo appello contro le bocciature scolastiche intese non solo in senso burocratico, rivolgendosi direttamente agli insegnanti perché privilegino una didattica concreta, attiva, esperienziale «la pratica deve sempre precedere la grammatica» ricorda don Sandro che sottolinea come «scopo principale di queste pagine è sostenere l’impegno di chi vuole una scuola per tutti, che non trascuri e non dimentichi nessuno». Gli fa eco il grande Mario Lodi nella splendida prefazione: «Prima di sparire, l’ultimo banco ci stimola a costruire una scuola che sappia trasformare tutti gli scolari in cittadini». Si sente aria di futuro in questo libro. La buona educazione ha tempi lunghi ma non manca mai i suoi appuntamenti.
Daniele Novara
Avvenire, 17 maggio 2019