La luce entra dalle grandi finestre e si allunga nei corridoi ordinati. È ora di lezione, a Cibali. Sui banchi del liceo classico e dello scientifico su cui hanno studiato generazioni di catanesi oggi ci sono tablet e pc, nell’aula di informatica nascono manufatti digitali in 3D, si fa simulazione d’azienda e ci si prepara all’alternanza scuola-lavoro che, qui, a poche centinaia di metri dal porto e dalle navi della capitaneria, significa anche accoglienza dei migranti.
Di pomeriggio ci saranno i laboratori: robotica, lingue, sport, arti, coreografia. Da un paio di anni c’è anche la flipped classroom, l’«insegnamento rovesciato» in cui gli allievi interagiscono anche da casa con gli insegnanti su una piattaforma web. E, dal prossimo anno scolastico, la rivoluzione per i due licei: agli indirizzi già esistenti, linguistico e informatico, si affiancheranno quello della comunicazione per il classico e quello sportivo (diritto, società, ecc.) per lo scientifico.
«Abbiamo trovato una felice sintesi fra la tradizione umanistica e il linguaggio dei giovani»: don Paolo Fichera, il preside, si sofferma alla fine di una lezione a raccontare le attività dell’istituto “San Francesco di Sales”, e ogni tanto guarda l’orologio. Non è un gesto di impazienza: tra poco è l’ora di ricreazione, e la quotidianità, in questo presidio educativo che si raggiunge risalendo l’ossatura cittadina di via Etnea fino all’altezza di villa Bellini, prevede che insegnanti e alunni s’incontrino sotto gli antichi portici del cortile durante l’intervallo, per parlare «un po’ di tutto, come si fa in famiglia». È la costante, il cortile, nell’educazione così come la intendeva don Bosco.
Si sosta davanti alla sua statua, all’ingresso del cortile, entrando a “Cibali” (dal nome del quartiere, lo stesso dello stadio). E si viene subito investiti dalla storia, che è insieme storia della città e della tradizione salesiana in Italia. In ogni direzione lo sguardo incontra un pezzo di memoria: di là le prime scuole professionali, qua il collegio che oggi accoglie la scuola dell’infanzia, e, dall’altra parte, il primo Oratorio aperto negli anni Trenta. Su tutto domina la Casa originaria, con la facciata rossa, la cui costruzione iniziò nel 1889, un anno dopo la morte di don Bosco e dieci anni dopo l’apertura del primo istituto sull’isola (il “San Basilio” di Randazzo). Nella sua posizione invidiabile, l’Etna imbiancata di neve alle spalle e di fronte il mare, la nuova sede nella volontà del santo pedagogo doveva diventare «il centro d’irradiazione del carisma salesiano in Sicilia», come racconta la cronistoria dell’Istituto pubblicata nel 2013, per il 120 anni. Così è avvenuto. Quell’angolo di Catania dove nell’800 c’erano orti e giardini di limoni oggi è uno snodo centrale della città. Così come l’istituto salesiano, il solo complesso scolastico che accoglie verticalmente i figli dell’isola, dall’asilo nido fino al liceo.
«La tradizione vuole che i docenti comprendano e condividano l’identità della casa salesiana, il nostro progetto educativo, la dimensione umana dell’educazione», spiega don Fichera. E c’è l’attenzione alle famiglie. «Aiutiamo i genitori a capire cosa sia meglio per i propri figli – aggiunge il preside –: la scelta è dei ragazzi, ma non devono essere lasciati soli. Rischiano di finire in una scuola scelta a caso, o perché va di moda. Le famiglie vivono un periodo di smarrimento, di solitudine educativa, che è anche solitudine spirituale. A Catania, città commerciale, si sente l’onda lunga della crisi economica. I ragazzi vivono la preoccupazione per il proprio futuro professionale. Alla scuola chiedono di potenziare l’area scientifica, e quella relativa al diritto». Da qui i quattro indirizzi al liceo, e le partnership avviate con le realtà produttive del territorio, dai fab lab al distretto tecnologico dell’«Etna Valley». Alla Casa di via Cifali tornano spesso anche gli ex allievi. Da qui sono usciti professionisti della vita sociale e pubblica siciliana, e siciliani “di alto mare” che hanno lasciato l’Isola per diventare personalità dello Stato. Tutti formati secondo i pilastri educativi di don Bosco, «ragione, religione e amorevolezza ». Tutti preparati al «sacrificio » e all’«impegno».
I giovani si lasciano affascinare dalla storia di queste mura. Sanno che da questo cortile nel cuore di una città antica e volitiva, possono partire per qualunque strada. La roccia lavica, a Catania, non riveste solo i palazzi: è nel carattere della gente. Suona la campanella, finisce la ricreazione. Ora tocca a questi ragazzi dell’era 4.0 prepararsi alla vita, imparando la dimensione morale e spirituale del «buon cristiano» e dell’«onesto cittadino», come hanno fatto sugli stessi banchi i loro genitori e i loro nonni, nelle aule dove al mattino irrompe il sole della Sicilia.
Annalisa Guglielmino
Avvenire, 13 dicembre 2018
Nel pdf allegato la pagina di Avvenire con l’articolo e le testimonianze dei professori e degli ex-alunni