Pubblichiamo ampi stralci di un dialogo tra don Sergio Massironi, rettore del Collegio Villoresi di Monza, e il direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, raccolto da suor Alessandra Smerilli nel corso di un webinar sul futuro della scuola ai tempi del Covid-19.
Professor Vaia, non possiamo tornare a un fare scuola 'in presenza' senza andare verso una scuola 'Covid free'. Il concetto di presenza ha infatti come prerequisito quello di sicurezza. Come si sostanzia questo binomio?
Sicurezza è un termine complesso, perché è il prodotto di varie componenti e del concorso di vari segmenti della società civile e politica. Io parto subito con il messaggio più forte: ci occorre un 'piano Marshall' per la scuola. Non ha infatti nessun senso parlare di ripartenza di tutta la società civile, se non riapriamo per davvero la Scuola in sicurezza. Non ha nessun senso. C’è bisogno che la politica in questo momento la smetta di litigare e su alcune progettualità concrete – come può essere la Scuola – avvii un piano all’interno del quale tutti coloro che sono responsabili delle strutture pubbliche, in ogni segmento dello Stato, convergano con il loro contributo proprio.
Per una reale rinascita della Scuola occorre quindi una grande alleanza che metta in primo piano alcune cose. Ci occorrono più sguardi, perché ancora una volta, come scrive papa Francesco nella 'Laudato Sì', «tutto è connesso» e l’irruzione di una imprevedibile pandemia ci ha messo di fronte a connessioni non solo globali, ma interne a ogni sistema. Dal suo osservatorio medico, quali priorità vede per la scuola?
Primo: rivedere tutta l’edilizia scolastica. È impensabile che all’indomani del Covid-19 non si riqualifichi in tutto il Paese l’edilizia scolastica, non s’investa massicciamente sugli ambienti dell’apprendimento. Non me ne abbia, don Sergio, se dalle sue parti, cioè nell’ambito delle scuole paritarie, è abbastanza facile trovare spazi di qualità. Semmai, io penso il punto sia come fare a esaltare questo patrimonio, più che dire: 'Va bene, tu sei a posto'. La questione infatti riguarda tutta la Scuola e a noi preme ogni scuola, perché ci importa ogni singolo bambino, ogni ragazzo, in qualsiasi luogo e famiglia sia nato e stia crescendo.
In concreto, per noi significa distanziare i bambini, almeno ad un metro, magari in diagonale se possibile. Abbiamo delle linee guida, finalmente.
È di questo periodo la quasi certezza che il virus non si trasmetta solo per via droplets (goccioline di saliva, ndr) ma si possa trasmettere anche per via di contagio diretto, aereo; si sta inoltre abbassando l’età media delle popolazioni esponibili al contagio, il che significa che se fino a ieri avevamo la quasi certezza che il Covid-19 colpisse prevalentemente le fasce anziane, oggi abbiamo un’altissima probabilità – è di questi giorni – che si possano contagiare popolazioni più giovani, sino ai bambini. È un elemento da tenere in grande attenzione, ma in che modo si può risolvere questo problema? È possibile mantenere delle classi che arrivavano a contenere da 25 a 35 bambini? È impensabile. Come non lo è il tenerli a casa in un sistema di turni alternati e scaricare ancora sulle famiglie, che sono state per tanto tempo in lockdown e che hanno la necessità di 'respirare' e di non essere chiuse in se stesse per sempre.
E da parte della Sanità pubblica, invece, che cosa è legittimo si aspetti il mondo della Scuola?
È per me un secondo punto cruciale: io genitore dovrei sentirmi tranquillo se mio figlio va in un ambiente in cui il personale, docente e non docente, è negativo al Covid-19. Attraverso il test sierologico, chi è positivo agli anticorpi ha la necessità di fare un tampone e se questo è negativo si tratta di una persona non contagiosa e non contagiabile. Se invece al tampone risulto positivo, io sono una persona che deve essere immediatamente allontanata dal posto di lavoro e attraverso il tracciamento dei suoi contatti andranno messe in sorveglianza attiva tutte le persone che ho incontrato. Se, io genitore, ho la certezza che la scuola di mio figlio ha utilizzato questa metodologia e vi ha sottoposto il corpo docente e non docente, sarei più tranquillo. Ebbene, bisognerà forse mettere in carico ai fondi delle scuole statali o paritarie o private tout court, una simile procedura? No! C’è bisogno che un altro segmento dello Stato – la Sanità – venga incontro. Noi abbiamo già fatto un accordo con l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio per cui sottoporremo centomila persone allo screening sierologico e se sarà il caso a tampone. A mio giudizio questa è una cosa assolutamente indispensabile, per dare serenità alle famiglie (...)
In tutto questo dalle famiglie dobbiamo aspettarci un maggiore contributo? Si può chiedere ancora di più a quel nucleo di resistenza che, pur tra mille fragilità e contraddizioni, ancora una volta ha retto e in ogni crisi sembra essere la struttura portante del Sistema Paese?
Ha ragione. Aiutare la famiglia significa fare in modo che essa non ripari tutte le deficienze di pezzi dello Stato. Ora, quindi, c’è bisogno a mio giudizio di una revisione del nostro welfare. (...) Se io ho la possibilità di avere spazi, scuole paritarie aperte e ben gestite perché non pensare davvero e una volta per tutte a queste parte del servizio pubblico dell’istruzione? Come succede nella Sanità: perché non mutuare dalla Sanità lo stesso meccanismo? Perché della Scuola paritaria, almeno quella che funziona bene, deve farsi carico solo la famiglia? (...) Se una scuola è bella, è ben tenuta, è ben gestita, rispetta gli standard posti dalla legge per la scuola di tutti deve entrare pienamente nel circuito pubblico. E allora significa anche qui che noi dobbiamo rivedere il nostro welfare: non possiamo solamente aiutare ciò che spesso neanche funziona! Dobbiamo, al contrario, fare in modo che ciò che funziona possa rimanere di diritto privato, ma sia di funzione pubblica. Non occorre nessuna rivoluzione. Questo nuovo modello di welfare esiste già nella Sanità pubblica. Si chiamava 'convenzionamento', oggi si chiama 'accreditamento'. A maggior ragione nella Scuola la questione è rilevante: il termine 'accreditamento' sarebbe quanto mai appropriato in questo caso, perché rendo di funzione pubblica una struttura che io accredito come altamente qualificata, sia nella sua capacità didattica, dell’istruzione, sia nella sua capacità di accoglienza dei cittadini dall’infanzia all’università.
Avvenire, 9 luglio 2020