UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Quella mano sulla spalla”

Sulla rivista della Fidae “Docete” un’intervista a mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della CEI, sui giovani e il ruolo delle scuole cattoliche
13 Giugno 2024

Sul numero 40 della rivista “Docete”, edita dalla Fidae, Stefania Careddu ha intervistato mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della CEI, “dai suoi ricordi di studente allo sguardo sui giovani di oggi, passando per il ruolo degli adulti e delle scuole cattoliche”. Di seguito un ampio stralcio dell’intervista.

Si percepisce subito che la questione dei giovani e dell’educazione gli sta particolarmente a cuore. Con sguardo paterno, realistico ma mai giudicante, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e Segretario generale della Cei, parla dei ragazzi di oggi e, al contempo, del ruolo degli adulti. E per farlo cita lo scrittore libico Hisham Matar: gli uomini sono «entrati nel mondo grazie a un altro uomo, un garante che ha aperto la porta e, se sono fortunati, l’ha fatto con garbo, forse con un sorriso rassicurante e una pacca d’incoraggiamento su una spalla. E certo i padri sapevano, essendo stati a loro volta figli, che la presenza spettrale della loro mano sarebbe durata negli anni, fino alla fine del tempo, e che per quanto pesanti siano i fardelli caricati su quella spalla, o numerosi i baci che vi può posare un’amante, spinta forse dal segreto desiderio di cancellare le pretese di un altro, la spalla resterà fedele per sempre, ricordando la mano dell’uomo buono che li ha introdotti nel mondo. Essere un uomo significa essere un anello di tale catena di gratitudine e memoria».

Eccellenza, che ricordo ha della scuola?

«Ogni fase è stata entusiasmante: delle elementari ricordo l’incontro con la mia maestra e la passione con cui ci ha introdotti alla vita; delle medie l’apertura alla vita, la scoperta di sé, della propria libertà; del liceo la grande curiosità sul mondo e sui grandi interrogativi. ho scoperto come si possa essere, a tutte le età, capaci di dare un contributo alla vita degli altri attraverso, ad esempio l’impegno negli organi di partecipazione (io c’ero sempre!). La scuola poi è stata il tempo dell’amicizia: molti rapporti ancora resistono e mi fanno buona compagnia».

Se dovesse usare un’immagine per descrivere i giovani, quale sceglierebbe?

«Mi vengono in mente le belle chiese barocche del nostro Sud con i giovani che se ne stanno seduti sulle scalinate. alle spalle hanno un grande tesoro che non sanno più leggere. Tuttavia, guardano avanti, magari in attesa di qualcuno che li chiami, li metta in movimento».

Ha deciso di dedicare l’anno pastorale della diocesi che guida, Cagliari, all’emergenza educativa. Perché?

«I giovani sono un punto importante di verifica. Ci sono gesti che hanno impressionato tutti, che hanno occupato pagine di giornali e che riguardano violenze di giovani, sui giovani o tra di loro. Vi è poi una sofferenza che si esprime verso se stessi, verso il proprio corpo: disturbi alimentari e tanti disagi che sfociano nell’autolesionismo e perfino nel suicidio. La felicità dei ragazzi deve interrogarci profondamente, scuoterci, perché, quando non sappiamo trasmettere ragioni solide di consapevolezza o di convivenza, vuol dire che è debole il nostro tessuto sociale. Il futuro dell’umanità è nelle mani di chi sa trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza, dice Gaudium et spes. La preoccupazione per la felicità dei giovani mette gli adulti in ricerca di ragioni di vita e di speranza da trasmettere: non possiamo essere testimoni di ciò che non viviamo. Inoltre, appartiene alla vocazione fondamentale della Chiesa far maturare persone libere. Educare, dice il papa, significa tirar fuori da ogni uomo quel diamante che può risplendere alla luce di Cristo».

Quale contributo possono dare le scuole cattoliche alla sfida educativa oggi?

«anche le scuole cattoliche si trovano di fronte a un bivio che riguarda la loro identità. non credo che il loro primo problema sia economico, giuridico e istituzionale, ma piuttosto di identità che deve essere attrattiva. Un’identità che passa attraverso alcuni snodi fondamentali: il primo è la proposta educativa capace di coniugare uno sguardo competente e appassionato sulla realtà con un’anima che è quella di Cristo, della fede cristiana intesa non come momento di chiusura e di indottrinamento, ma di apertura e di curiosità verso la vita. Il secondo ha a che fare con la loro realtà di comunità educante, che deve permettere di saldare la cultura alla vita. nel tempo, lo Spirito non ha fatto venire meglio la crescita di nuovi carismi, di nuove realtà educative, ma anche quelle antiche devono sapersi ripensare, in forme diverse così che la responsabilità comunitaria si possa esprimere con la creatività di altri tempi. Il terzo riguarda il rapporto con i genitori: occorre superare quella che in modo sorprendente papa francesco chiama la “solitudine educativa” delle famiglie. Le scuole cattoliche devono essere capaci di aiutare le famiglie a capire quali sono le sfide, fornendo strumenti di lettura della realtà. Poi si faranno anche le “battaglie” politiche per il diritto allo studio, per la libertà educativa, ma ciò su cui dobbiamo lavorare è l’identità. L’opera educativa può continuare dentro un dialogo più serrato di quanto oggi accade tra la comunità ecclesiale, diocesi, parrocchie e scuole cattoliche».

Con i suoi Orientamenti pastorali, la Chiesa in Italia ha dedicato un decennio (2010-2020) all’educazione. Nel 2019 il Papa ha lanciato il Patto educativo. Insomma, non si tratta di un capitolo chiuso...

«Non deve essere chiuso. Innanzitutto perché istruire, quindi educare, è un’opera di misericordia spirituale e per la Chiesa sarebbe grave separare le opere di misericordia corporali da quelle spirituali. abbiamo letto le ricerche, lo conferma anche ciò che abbiamo vissuto a Lisbona, in occasione della Giornata mondiale della gioventù: i giovani sono capaci di seguire proposte alte, se credibili. In periodo di Covid, i giovani che hanno meglio affrontato il tema sono stati quelli che ponevano a se stessi un problema di senso e avevano riferimenti comunitari. Quindi è come se i ragazzi chiedessero una responsabilità educativa nuova da parte della Chiesa, c’è una domanda di educazione che va accolta. Sarebbe un grave tradimento non raccogliere questa sfida o pensare che i giovani possano accontentarsi del consumo capace di soddisfare istinti o desideri frammentati e ridotti».

In allegato l’estratto integrale dell’intervista.

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