UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Quel «gioco di sguardi» che conduce Dante a Dio

Tutta l’opera del Poeta si muove nel segno del vedere, fino alla visione mistica nel “Paradiso”
25 Marzo 2022

Nella seconda metà del secolo XX la cultura francese diede vita all’Ecole du regard, diversificatosi nella narrativa, il nouveau roman, nella saggistica (P. Ouellet, Poetique du regard 2000) e nell’opera di Bernard Noël, il cui Diario dello sguardo( 1992) sviluppa la teoresi poetico-visiva: gli occhi costituiscono il limite che separa il visibile, davanti, e l’invisibile, dietro gli occhi stessi: «Il visibile somiglia al reale e il funzionamento di questa somiglianza è lo stesso del pensiero. (…) L’invisibile contiene il simmetrico dello spazio esterno ovvero il nostro spazio interiore. Lo sguardo fa il traghettatore dall’uno all’altro». Sebbene codeste affermazioni si apparentino ai dogmi dell’alienazione e dello straniamento, possono tuttavia introdurci via negationis alla poetica dello sguardo di Dante, muovendosi dallo stilnovismo alla visio Domini della Commedia. Ciò che convince il lettore, in codesto procedimento, è la progressiva evoluzione della poetica dello sguardo ( Vita Nuova) in filosofia dello sguardo ( Convivio), fino alla teologia dello sguardo: «Io compresi / me sormontar di sopr’ a mia virtute / e di novella vista mi raccesi» ( Par. XXX, 56-57).

Tutto il campo semantico della vista e del vedere domina l’opera di Dante, le cui fonti medico-filosofiche risalgono alla 'perspectiva', di origini greche, sviluppatasi nei trattati di Alhazen (965-1039). Nel De Perspectiva di Vitellione (1270) il rapporto soggetto-oggetto viene finalizzato alla concezione interattiva della conoscenza: la prima percezione permette di cogliere luci e colori, successivamente la vista comprende gli atti dell’anima, actum ratiocinationis diversas formas visas ad invicem comparantem. Solo dopo il confronto, si determina la conoscenza della cosa e/o la sua visione concettuale. Dante conobbe e approfondì la 'perspettiva', in direzione poetica e retorica, fin dagli anni dello stilnovismo: «Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per gli occhi una dolcezza al core,/ che ’ntender non la può chi no la prova» (Tanto gentile, vv. 9-11). I concetti della 'vista interiore' di intelletto e volontà sono presenti nell’Antico (2Cr 20,12) come nel Nuovo Testamento (Mc 8,18; Ef 1,18). In Monarchia II, 8 Dante cita la fine della preghiera del re Giosafat, indicando lo sguardo verso Dio: «Quod oculos nostros ad te dirigamus». Stesse accezioni in Agostino, «oculi interiores», Crisostomo, «intellectuales oculi», Leone Magno, «mentis oculi», Tommaso, «oculus mentis».

Emerge così nella Vita Nuova il tema degli effetti dello sguardo di Beatrice: il verbo guardare costituisce il momento iniziale del processo visivo, laddove vedere ne rappresenta il naturale esito: «Guardai e vidi Amore» ( RimeLXXII, 8). Vedere sottolinea l’incontro spirituale e nobi-litante, attraverso l’incrociarsi degli sguardi: «Vede perfettamente onne salute / chi la mia donna tra le donne vede» (Vita nuova, XXVI, 10-13): la contemplazione della perfezione morale di Beatrice esprime la dimensione spirituale del poeta, ma anche l’ascesa etica di chiunque la guardi, «mostrasi sì piacente a chi la mira». La contemplazione-elevazione si esprime nel «guardare verso l’alto regno» (Vita nuova, XXIII, 28, 82), mentre vedere si configura come mediatore tra l’interiorità di Dante e la sua concreta esperienza. Nel Convivio, in quest’ordine di significati, diventa parola-chiave l’avverbio 'visibilmente': «Senza visibilmente avere di ciò esperienza, questa donna sia una cosa visibilmente miracolosa, de la quale li occhi de li uomini cotidianamente possono esperienza avere». (III, vii, 16). Il verbo vedere sempre più significa 'conoscere' e 'comprendere': «Per difetto d’ammaestramento li antichi la veritade non videro de le creature spirituali» (Conv II, v, 1).

L’avvio della Commedia è nel segno del vedere: «O mente che scrivesti ciò ch’io vidi / qui si parrà la tua nobilitate» (Inf. II, 8-9). Gli occhi della mente guidano l’intera visione, intensificando l’intrinseco valore teologico, man mano che si procede verso Dio e coinvolgendo, finalisticamente, il lettore: «Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero» (Purg. VIII, 19). Gli occhi di Beatrice convincono Virgilio a soccorrere Dante, «Gli occhi belli/ che, lacrimando, a te venir mi fenno» (Purg. XXVII, 136-37) e, sotto codesto influsso, comincia il gioco di sguardi Dante-Virgilio che, nel suo ruolo di Magister, esorta energicamente il discepolo, «Or drizza il nerbo del viso» ( Inf. XII, 46), sia nell’Inferno ma ancor di più nel Purgatorio, attraverso il fortissimo ficcare gli occhi, la sete di sapere di Dante, utilizzato anche da Beatrice: «Ficca di retro a li occhi tuoi la mente » (Par. XXI, 16), toccando l’apice visivo- cognitivo nel «volsi li occhi a li occhi al segnor mio» (Purg. XIX, 85), poiché Virgilio è colui che guida in alto gli occhi miei (Purg. XXI, 124).

Terminando il Purgatorio, aumenta in Dante il desiderio di vedere/ conoscere la Verità rivelata, che ha occhi di smeraldo, in cui si riflette il Divino. È la sacra rappresentazione del paradiso terrestre, dove le virtù cardinali gli dicono: «Merrenti alli occhi suoi; ma nel giocondo / lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi / le tre [virtù teologali] di là, che miran più profondo (…) Fa che le viste non risparmi: / posto t’avem dinanzi a li smeraldi / ond’Amor già ti trasse le sue armi / Mille disiri più che fiamma caldi / strinsemi li occhi alli occhi rilucenti, / che pur sopra ’l grifon stavan saldi» (Purg. XXXI, 109-120). Dante la guarda diversamente da «quando con li occhi li occhi mi percosse» (Purg. XXXIII, 18), ora in lei si fondono il desiderio della conoscenza teologica e la spinta verso l’Alto: è la visio mystica che conclude il poema, sotto gli auspici di Bernardo e di Maria: «Or questi, che da l’infima lacuna / de l’universo infin qui ha vedute / le vite spiritali ad una ad una, / supplica a te (…) che possa con li occhi levarsi / più alto verso l’ultima salute» (Par. XXXIII, 22-27). Se la poetique du regard del secolo scorso voleva documentare la scissione tra l’io e il mondo dell’esperienza, gli occhi che tentano di riordinare il caos, lo sguardo verso l’Alto di Dante può suggerirci il varco per raggiungere l’Infinito.

Gabriella M. Di Paola Dollorenzo

Avvenire, 25 marzo 2022