UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Poveri giovani italiani, con un futuro già in salita

Secondo il Rapporto Caritas 2022, i “Millennials” e la “Gen Z” fanno i conti con una vulnerabilità economica e sociale mai vista
14 Ottobre 2023

In Italia più si è giovani e più si è poveri. La Caritas, nel suo annuale Rapporto sul tema, è netta e non concede margine a dubbi: i protagonisti assoluti di povertà ed esclusione sociale sono proprio ragazzi e ragazze. Quelli che abitano lo Stivale si vedono consegnare ormai da anni un patrimonio di vulnerabilità economica, lavorativa e sociale: una sorta di eredità di povertà che viene notificata di continuo a migliaia di giovani italiani e che da parte sua la Chiesa cattolica, attraverso i fondi 8xmille, prova a contenere.

Il nostro (che però è anche il loro) Paese - con un debito pubblico fuori controllo, un mercato del lavoro bloccato e una bassa crescita economica - innesca una “povertà generazionale” che è comune e nota ai nati dopo il 1988. I Millennials e la Gen Z, che oggi hanno dai 15 ai 35 anni, sono le prime generazioni a dichiararsi più povere della precedente. Anzitutto economicamente, con contratti a tempo pieno che non sempre assicurano un reddito sufficiente, ma anche per qualità di istruzione, sbocchi occupazionali e persino prospettive di un futuro migliore.

Già, perché in questo Paese, quella che potrebbe essere una condizione di fragilità transitoria è quasi una caratteristica genetica e tanti genitori, loro malgrado, tramandano ai figli un destino precario. Il fenomeno della “povertà intergenerazionale” in Italia si perpetua mediamente per 5 generazioni: chi nasce in una famiglia di una fascia sociale bassa difficilmente riesce a cambiare la sua condizione di reddito, rischia di restare bloccato a un livello di istruzione insufficiente e di non avere accesso a un lavoro qualificato.

Tra i giovani ancora in età scolare – confermano rapporti Invalsi – il tasso di abbandono scolastico è cresciuto pericolosamente e nel 2021 si è attestato al 9,5%, con percentuali a doppia cifra in Calabria e Campania dove il fenomeno della dispersione tocca rispettivamente il 22,4 e il 20,1%. La situazione del mercato del lavoro non è più rosea: nel nostro Paese il rischio di disoccupazione degli under 30 è circa il doppio di quello medio rilevato nei 27 Paesi dell’Unione europea e poco meno di un giovane su tre rimane fuori dal mercato. Il risultato è che i giovani 15-34enni che non studiano, non lavorano e non si formano (i cosiddetti Neet) sono oltre tre milioni e in alcune regioni del Sud superano il 40%. Anche chi riesce a trovare un impiego, non lo aggancia durante gli studi ma soltanto una volta uscito dal sistema di istruzione e le vie di accesso principali all’occupazione restano tutt’ora la famiglia e le conoscenze personali: due dinamiche che non spingono certo l’ascensore sociale.

Insomma, per coloro che non hanno sul volto una ragnatela di rughe, la strada per arrivare al lavoro è tortuosa e soprattutto lunga: un giovane italiano, secondo l’indagine Eu-Silc, trova lavoro dopo 28 mesi contro gli 11 della Polonia, i 5 di Austria e i 4 del Regno Unito.

I dati descrivono un ordigno sociale, ulteriormente detonato con l’emergenza Covid 19. L’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e l’Ipsos hanno interpellato 2mila cittadini dai 18 ai 34 anni e hanno scoperto che dopo la pandemia quasi la metà dei giovani si sente ancora più precaria e immagina un futuro pieno di rischi e incognite.

La sfiducia aumenta nel caso di giovani che sono già poveri: secondo un’indagine condotta nel 2022 in 10 Paesi europei, con la collaborazione di Caritas Europa e Don Bosco International, il 38% degli adolescenti che vivono in famiglie in difficoltà e che hanno avuto gravi problemi economici a causa della pandemia, non si sentono preparati per continuare gli studi. Né il 53,8% lo è per entrare nel mondo del lavoro. D’altra parte, come potrebbe?

Durante il Covid le lezioni si sono spostate online ma i laboratori per acquisire competenze tecniche e professionali non hanno potuto fare altrettanto e sono saltati, pregiudicando la preparazione degli studenti. Il 69% dei giovani interpellati ha dovuto persino rinunciare a tirocini formativi e più del 90% a uno stage all’estero. Costretti a ripensare al proprio futuro, i giovani hanno dovuto farlo da soli: il 93,9% dichiara di non essere stato aiutato a orientarsi in nessun modo dalla scuola.

Per non far saltare l’“anello debole” – come significativamente lo chiama la stessa Caritas nel titolo del suo Rapporto – urge dunque rafforzare la catena. La Chiesa italiana lo fa con continui punti di saldatura e ostinata costanza, investendo anzitutto nell’istruzione e formazione professionale dei ragazzi, vera medicina per il sistema malato. Grazie ai fondi 8xmille, soltanto nel 2022, 167 diocesi dello Stivale hanno aiutato 1.377 famiglie a cercare lavoro e dato una mano a 3.284 giovani a iscriversi a corsi di formazione, svolgere esperienze di scambio internazionale nonché acquistare libri e quaderni. Nel caso della povertà multigenerazionale, però, gli aiuti materiali e logistici non bastano. Un’indagine Caritas svolta in 6 diocesi ha fatto emergere che i giovani poveri condividono un certo profilo psicologico caratterizzato da bassa autostima e mancanza di progettualità che deriva dall’esposizione a disagio e povertà culturale. La risposta è un accompagnamento costante e personale su cui la Chiesa ha investito già dal 1995 con il Progetto Policoro che propone percorsi personalizzati di inserimento lavorativo e sostiene la nascita di attività che favoriscano l’occupazione ma anche l’inclusione sociale e la generazione di reti di amicizia e sostegno reciproco.

Ilaria Beretta

Avvenire, 13 ottobre 2023

(infografica Avvenire)