Siate imitatori e discepoli della «passione per gli ultimi e gli scartati» di san Giovanni Battista de La Salle vissuto nella Francia pre-rivoluzionaria tra il 1651 e il 1719, «un innovatore geniale e creativo nella visione della scuola, nella concezione dell’insegnante, nei metodi di insegnamento». È il ritratto che papa Francesco ha voluto consegnare – ricevendoli ieri in Vaticano nella Sala Clementina – ai circa 300 Fratelli delle scuole cristiane, “partner lasalliani” educatori laici e alunni da tutto il mondo, in rappresentanza dei 3.500 religiosi, dei 90mila educatori laici e del milione di studenti, che quest’anno celebrano il terzo centenario della morte del santo di Reims,fondatore della famiglia religiosa e patrono dal 1950 di «tutti gli educatori e i maestri cattolici». E ieri l’attuale superiore dei Fratelli delle scuole cristiane, lo statunitense Robert Schieler, ha espresso a papa Francesco il ringraziamento di tutta la Famiglia lassaliana per aver dichiarato il terzo centenario della morte del fondatore (1719-2019) «anno giubilare». Alla scuola del santo francese e seguendo il mandato evangelico di «andare dai poveri con il cuore dell’uomo povero », oggi – ha osservato nel suo saluto Schieler – ogni fratello della Congregazione «è impegnato a fare lo stesso» insieme con le donne e gli uomini «che generosamente e professionalmente condividono con noi il ministero dell’educazione umana e cristiana».
Nel suo discorso il Pontefice ha individuato alcune caratteristiche del fondatore dei Fratelli delle scuole cristiane. «La sua visione della scuola lo portò a maturare sempre più chiaramente la persuasione che l’istruzione è un diritto di tutti, anche dei poveri». Quindi Bergoglio ha ricordato come egli si dedicasse «interamente all’istruzione delceto sociale più basso», istituendo «un’esperienza originale di vita consacrata: la presenza di religiosi educatori che, senza essere sacerdoti, interpretassero in modo nuovo il ruolo di “monaci laici”». Singolare e “controcorrente” infatti fu la scelta del sacerdote Giovanni Battista de La Salle di volere che ogni suo figlio rimanesse un semplice religioso (emettendo i voti solenni di povertà, castità e obbedienza) per avere così come unica occupazione– una vera opzione – l’educazione dei fanciulli e dei più svantaggiati.
Inoltre Francesco ha evidenziato che de La Salle desiderava per le sue scuole «gente adeguatamente preparata», avendo «davanti agli occhi tutte le carenze strutturali e funzionali di una istituzione precaria che necessitava di ordine e forma. Intuì allora – ha spiegato – che l’insegnamento non può essere solo un mestiere, ma è una missione », circondandosi «di persone adatte alla scuola popolare, ispirate cristianamente, con doti attitudinali e naturali per l’educazione ». E per farlo «consacrò ogni energia alla loro formazione, diventando esempio e modello per loro» e promuovendo quella che definiva la «dignità del maestro». Non è un caso che oggi in Italia la Congregazione fondata nel 1680 (e approvata ufficialmente dalla Santa Sede nel 1725) oltre a gestire importanti istituti di eccellenza come il De Merode di Roma (che ebbe tra i suoi allievi il poeta Trilussa), il Gonzaga di Milano e il San Giuseppe di Torino sia impegnata in autentici avampostidi educazione anche alla legalità come la scuola nella periferia di Napoli a Scampia gestita da fratel Enrico Muller.
Il Papa ha poi ricordato le grandi visioni educative del santo di Reims canonizzato nel 1900 da Leone XIII tra cui quella di aver sostituito il latino con l’uso corrente del «francese» e di aver colto l’importanza strategica di «un metodo di riabilitazione attraverso la scuola e il lavoro». L’invito finale del Pontefice ai figli spirituali del santo definito da Pio XII come il «patrono celeste presso Dio di tutti gli insegnanti » è stato quello di riprendere in mano non solo le sue intuizioni pedagogiche ma anche i suoi sogni per una «scuola» veramente «aperta» ealla portata di tutti.
Avvenire, 17 Maggio 2019