Non è certamente facile fare memoria oggi di una delle pagine più tragicamente vergognose della nostra storia in questo contesto di “guerra mondiale a pezzi” come la definisce papa Francesco. Ma proprio per questo è sicuramente ancora più urgente stare all’interno di questo nostro “presente”, con tutte le sue contraddizioni, senza perdere di vista da dove veniamo e quello che ancora oggi “brucia” nelle nostre coscienze. La Giornata della Memoria si presenta quest’anno in un contesto decisamente complesso, perché ci pone a confronto con quello che succede in Medio Oriente e che è lì a dimostrare, con la sua logica perversa intrisa di odio, che senza una memoria collettiva condivisa non si può andare lontano. Il fare memoria dunque, soprattutto nelle scuole, nei luoghi dove si formano le coscienze, è sempre più importante e necessario.
Da genitori non possiamo non condividere con i nostri figli, i nostri nipoti, quello che a loro volta i nostri padri o nonni hanno in parte condiviso con noi. Olocausto, Soluzione Finale, Leggi Razziali devono oggi tornare al centro della nostra azione e del nostro impegno di ricordo, perché sempre più frequenti sono i segnali inquietanti di una certa tendenza a falsificare la memoria, ancor più che cancellarla. Sono passati quasi settant’anni, ma le ferite bruciano ancora e le testimonianze, ormai sempre più rare per l’inesorabile trascorrere del tempo, si fanno perciò stesso sempre più preziose. La ricorrenza del Giorno della Memoria, istituita nel nostro Paese nel luglio del 2000 «al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati » (art.1), arriva in un momento delicato anche per la nostra Italia. Auschwitz con il suo peso simbolico sembra essere per alcuni versi intorno a noi. È nell’aria come una peste la cui infezione serpeggia ancora e contamina le nuove generazioni.
I primi a non dimenticare ciò che è accaduto nel passato siamo indubbiamente noi genitori. E se i giovani hanno diritto di sapere, noi abbiamo il dovere di non stancarci mai di trasmettere la memoria di quell’orrore affinché non si ripeta oggi più ancora convintamente di ieri. Come Agesc siamo convinti che la memoria si coltiva e si nutre poi soprattutto a scuola, tra i banchi dove siedono i nostri figli. E qui entra in campo di forza la Scuola (quella con la S maiuscola) che deve vederci tutti corresponsabili in un processo di totale estirpazione di atteggiamenti che nel disumano e nel ferino affondano le loro radici; che si nutrono di quella parte dell’uomo che solo la scuola e la cultura, quella vera, possono vincere; una scuola alla quale non si “demanda”, ma con la quale e nella quale da genitori ci si assume la responsabilità che ci compete; una cultura che non è solo erudizione o abilità tecnica, ma è capacità di pensiero, consapevolezza etica, stile di vita. Ricordare e fare memoria oggi dell’Olocausto e di tutte le persone oppresse dalla follia omicida del nazifascismo vuol dire non farle morire un’altra volta perché il rischio c’è; e vuol dire dare strumenti ai nostri giovani per crescere nella consapevolezza che si può sempre scegliere, che le atrocità della guerra, di tutte le guerre, non sono tragedie avvenute per caso, ma conseguenze di scelte alle quali non ci si è opposti cui non ci si è opposti.
Giovannino Guareschi, il papà di Don Camillo e Peppone, fu uno dei 600mila internati militari italiani. Per i tedeschi era il numero di matricola 6865. Vorremmo chiudere questo breve articolo con un passo tratto dai suoi scritti dopo la guerra: « Non abbiamo vissuto come i bruti. Non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire». Se non ora, quando la scuola sarà davvero Scuola?
Avvenire, 26 gennaio 2024