Chi educa gli adulti? Se si vuole davvero educare gli altri – e un adulto è chiamato a farlo –, bisogna convincersi della necessità di renderci noi stessi adulti sempre più educabili. «Nessuno dà ciò che non ha», diceva san Tommaso d’Aquino: nessun adulto può educare i più giovani se non prende consapevolezza di essere egli stesso bisognoso di educarsi e lasciarsi educare. Chiaramente l’educazione di un adulto sarà soprattutto autoeducazione, ma più si avanza nella maturità e più cresce la consapevolezza dei limiti e, perciò, il bisogno di mettersi in una condizione di formazione permanente. Ma allora il quesito diventa: che tipo di consapevolezza noi adulti abbiamo di questa necessità di 'formazione permanente'? Ci sono addirittura adulti che si fregiano di essere sempre gli stessi e di non essere per nulla cambiati nella vita, nonostante il passare del tempo e delle esperienze! Non sembra, questo, un indice di maturità.
La domanda 'chi educa gli adulti', o, anche, 'chi educa gli educatori', fa emergere un altro dato: noi siamo molto preoccupati della emergenza del disagio, talvolta anche della devianza, dei nostri ragazzi e dei nostri giovani. E i più recenti fatti di cronaca – dall’uccisione del carabiniere a Roma, alla banda che compiendo furti in discoteca ha provocato la strage di Corinaldo – testimoniano che si tratta di una preoccupazione fondata. Tuttavia non siamo altrettanto coscienti che la vera crisi è più profondamente una crisi degli adulti. Non siamo forse noi adulti ad aver perso la bussola? Non siamo noi ad aver assorbito appieno una cultura dove è diventato tutto relativo, instabile, liquido? Perciò non siamo più in grado di proporre mete, ideali, valori, per cui vale veramente la pena impegnarsi, vivere e morire. Siamo noi adulti a essere ammaliati da un giovanilismo ridicolo: pur di non accettare di perdere la competizione con il rampantismo dilagante, diventiamo una caricatura assai sgradevole di efficienza e successo a tutti i costi. Non riusciamo a tramandare quanto abbiamo ricevuto, perché non siamo più sicuri che conti davvero e che sia un valore. A chi di noi, almeno qualche volta, non è capitato di osservare i comportamenti di qualche nostro coetaneo o, più onestamente, i nostri stessi comportamenti, valutandoli talvolta infantili, adolescenziali, comunque non corrispondenti alla nostra età cronologica? Tra l’altro abbiamo una misura di questo, se solo prendiamo in considerazione l’elevato numero di matrimoni che vengono annullati per immaturità psicologica, affettiva etc. degli sposi. Se, poi, diamo uno sguardo a certe trasmissioni tv dove adulti si presentano e si comportano come dei bambini capricciosi, pur di apparire, far colpo, oppure guadagnare a tutti i costi anche vendendosi l’anima, lo scoraggiamento potrebbe prendere il sopravvento.
Quotidianamente si incontrano genitori ed educatori che si lasciano dominare e manipolare dai ragazzi. Preoccupati di avere sempre il loro consenso e il loro affetto, diventano incapaci di dare indicazioni chiare, norme di riferimento salde e affidabili, o di intervenire in maniera opportuna e per tempo quando si tratta di usare la correzione, la chiamata a responsabilità, ovviamente in modo proporzionato all’età dell’educando. Talvolta ci sono genitori i cui sensi di colpa per le proprie conflittualità, li rendono incapaci di scontentare i figli quando sarebbe opportuno farlo. O ancora genitori per i quali i figli rappresentano un investimento per gratificare in modo vicario i propri inconfessabili bisogni e vincere le proprie frustrazioni. Quando, poi, capita di sentire alcuni ragazzini poco più che preadolescenti o addirittura più piccoli che sono considerati dai genitori come dei consiglieri o dei confidenti, ci poniamo la domanda: è giusto che le cose vadano così? Un discorso che vale anche per altre figure educative, padri e madri 'spirituali' compresi.
Qualche ultima osservazione. Chi educa gli adulti: la tata, lo psicologo, il pediatra? Chi educa gli adulti: internet? Chi educa gli adulti: il libro di istruzioni sull’arte di educare? Certo, un adulto, un genitore, un educatore ha bisogno talvolta anche di figure professionali e strumenti per avere qualche dritta sul proprio approccio e stile educativo, sulle dinamiche personali e familiari, ma possibile che abbiamo reso tutto medicalizzato o 'specialistico'? Non sarebbe meglio riscoprire la pedagogia cristiana: il Vangelo e, soprattutto, l’esempio di Gesù educatore? Non sarebbe opportuno riscoprire la forza del dialogo, del confronto e della condivisione all’interno della coppia, tra le coppie, tra educatori? Non sarebbe opportuno dare una continuità a questo tipo di esperienza all’interno delle nostre comunità ecclesiali, ma anche nelle istituzioni educative laiche?
Chi educa gli adulti? Una comunità di adulti che sa mettersi in discussione per auto-correggersi sarebbe una grande testimonianza educativa per i giovani e i ragazzi; sarebbe anche un messaggio di fiducia e di speranza. Cominciando da ciò che rendeva esplicito il grande filosofo e teologo Bernard Lonergan: «Non so, ma posso imparare».
Lello Ponticelli
Avvenire, 8 agosto 2019