UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lezioni in corso, in tutta Italia

Viaggio nella penisola che non ha mai smesso di andare a scuola
27 Novembre 2020

Lezioni in presenza, quando è possibile. E se non in aula, almeno dove c’è uno spazio adatto a fare da “agorà”. Ma sempre nel rispetto delle norme anti-Covid. A Città di Castello, in provincia di Perugia, per esempio, le classi della primaria di Rignaldello da qualche giorno si ritrovano nelle stanze cinquecentesche della pinacoteca comunale che custodisce, tra le altre opere, anche lo Stendardo di Raffaello. Gli spazi della scuola non sono adeguati a una didattica in sicurezza e quindi, ecco l’idea della direzione della scuola e del Comune, di trasferirsi nel museo, attualmente chiuso alle visite del pubblico in base alle disposizioni dell’ultimo Dpcm. «Non è mai capitato ma chissà che non diventi una prassi in futuro» auspicano gli assessori Vincenzo Tofanelli e Rossella Cestini. È un progetto che favorisce il rapporto degli studenti con l’arte e la bellezza. Così anche l’emergenza sanitaria diventa un’opportunità educativa.

E c’è anche chi come aula ha preferito, finché è stato possibile, il grande bosco di fronte alla scuola, dove ci si può muovere a contatto con la natura e imparare prendendo spunto da ciò che si incontra. Succede alle elementari di Serravalle d’Asti, borgo rurale di 600 abitanti con 54 alunni che frequentano dalla prima classe alla quinta. Ma non è un’iniziativa sporadica: il metodo si chiama “Bimbisvegli” ed è stato ideato dall’insegnante Giampiero Monaca insieme con due sue colleghe. La filosofia è «imparare giocando, con la partecipazione attiva di bambini e famiglie alle diverse attività» spiega il maestro. Un esempio? «Vogliamo una scuola bella? Allora dipingiamola tutti insieme...».«Le lezioni nel bosco le facciamo da 4 anni, le abbiamo dovute interrompere una quindicina di giorni fa per cause di forza maggiore, adesso ci riuniamo nel cortile della scuola – aggiunge – e, da quando c’è la pandemia qui il contagio è a quota zero». È una didattica in presenza e interattiva. Nel senso che danno una mano anche i migranti del centro di accoglienza che si trova di fronte all’edificio scolastico. «Uno di loro, TaiwoWahab, nigeriano di 29 anni, viene tutti i giorni a insegnare inglese ai bambini, fa un servizio alla collettività come volontario, anche se alle prese con il permesso di soggiorno».

Alunni, docenti e genitori delloScientifico “Bottoni” di Milano,invece, hanno voluto esprimere il loro desiderio di tornare al più presto alle lezioni in aula facendo la Dad nel cortile della scuola. «Bisogna riaprire le infermerie scolastiche, con medici che possono eseguire i test rapidi perché non tutti posseggono un’auto per andare al “drive through” di via Novara» propone Chiara Ponzini, di Priorità Scuola, il movimento che ha organizzato la protesta. Con cappello, sciarpa e guanti, Lorenzo Mazzi, 44 anni, docente di storia e filosofia, ha tenuto le lezioni su Socrate con gli alunni delle sue classi collegati da casa, ma ce ne sono anche 12 che hanno voluto ritrovarsi davanti al portone dell’istituto, sui banchi a rotelle, con libro, computer e auricolari alle orecchie.

«Studenti in classe una volta alla settimana? Certo, e se possibile anche due o tre, perché i ragazzi non ne possono più e noi con loro» dice Daniela Galletta, docente all’Istituto superiore Copernico-Pasoli di Veronacommentando la proposta dello psicoterapeuta dell’età evolutiva e direttore dell’Ido Federico Bianchi di Castelbianco che ha inviato un appello al mondo delle istituzioni: «La scuola è un luogo sicuro, non è un focolaio, chiedere un giorno a settimana alle superiori permette ai ragazzi di non perdere il contatto con l’istituzione scuola che non è solo apprendimento ma possibilità di condividere; il danno che stanno subendo i ragazzi è forte e ce lo porteremo dietro a lungo».

La professoressa Galletta è anche coordinatrice della rete “Scuola e Territorio: Educare insieme” che riunisce 55 istituti della provincia veronese, di cui circa la metà superiori: «Ogni giorno mi confronto coi miei colleghi e i miei alunni. Li vediamo in difficoltà, sempre di più. La solitudine li rende tristi, hanno assoluto bisogno di contatto e di relazione e infatti ce lo chiedono. Noi cerchiamo di instillare in loro un po’di ottimismo con strategie didattiche innovative e qualche collegamento pomeridiano in piccoli gruppi, proprio per restituire loro parte della socialità che manca, ma non basta più. Speriamo in un segnale chiaro prima di Natale. Non va tutto bene perché l’adolescente ha bisogno di interazione e di contatto» conclude Galletta.

Alla media “Trilussa” di Quarto Oggiaro, periferia di Milano, c’è un miracolo che si ripete ogni anno, e anche adesso, in tempo di coronavirus: è un quartiere difficile, con ragazzi “difficili” «ma ci sono docenti che a insegnare qui vengono sempre volentieri» dice il professore di religione, Luigi Tortorella che parla di un modello didattico aperto, un esempio anche per altre realtà.

Fulvio Fulvi

Avvenire, 26 novembre 2020