UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La sfida dell’educazione sessuale

I progetti dell’Università salesiana, parla il rettore don Andrea Bozzolo: «Ascolto paziente, senza giudizi». Indicazioni anche dal cardinale Zuppi
4 Ottobre 2023

L’emergenza educativa che stiamo attraversando impone di avviare percorsi strutturati e consapevoli di educazione sessuale. Dobbiamo farlo “senza infingimenti”, come ha detto il presidente della Cei, cardinale Zuppi, cioè guardando in faccia alla realtà, confrontandoci con le speranze e le aspettative dei giovani. «Con empatia e disponibilità», aggiunge don Andrea Bozzolo, rettore della Pontificia Università Salesiana. «Senza toni giudicanti e senza linguaggi enfatici», come purtroppo è avvenuto troppe volte in passato, quando i timidi tentativi di educazione all’affettività e alla sessualità si riducevano all’elenco dei divieti e dei permessi. Oggi tutto è diverso. L’impegno dei salesiani su questo fronte è davvero imponente. Si è conclusa una ricerca triennale che sarà approfondita in un convegno nella prossima primavera, sta partendo un corso di alta formazione, oltre ad altre iniziative di cui abbiamo già dato conto nei mesi scorsi (vedi box in questa pagina).

Lunedì, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi ha parlato della necessità dell’educazione affettiva dei giovani e ha sollecitato i credenti a trovare il coraggio “di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale”. Riconosce in queste sollecitazioni il senso delle iniziative avviate dall’Università Salesiana?

L’invito ad impegnarsi nell’educazione affettiva e sessuale delle giovani generazioni viene già dal Concilio. La Dichiarazione Gravissimum educationis ne parla esplicitamente e Papa Francesco in Amoris Laetitia riprende questo appello. Dobbiamo però chiederci onestamente se le nostre istituzioni educative abbiano assunto questa sfida in tutto ciò che essa comporta. Non basta offrire ai ragazzi un’informazione corretta e alcune regole di comportamento. Hanno bisogno che li accompagniamo nell’esperienza quotidiana a dare un nome alle emozioni, a riflettere sulle loro esperienze, a sviluppare il senso critico davanti alla molteplicità di stimoli e messaggi da cui siamo circondati. E lo desiderano più di quanto possiamo immaginare. In questo senso, come afferma il cardinale Zuppi, l’educazione affettiva ha certamente a che fare con la vita interiore, con il gusto per la preghiera e per l’autenticità dei rapporti. Ma senza spiritualismi. Corpo e affetti non sono luogo di applicazione di una spiritualità appresa altrove, ma lo spazio in cui imparare a fare esperienza di Dio. Per quanto ferita dal peccato, l’energia di eros è un dono dello Spirito Creatore, che abita i nostri corpi come un tempio. Per questo è necessario un apprendistato del linguaggio del corpo, che aiuti a cogliere la profondità simbolica dei nostri gesti di amore.

Quali sono gli “infingimenti” che non permettono ai giovani di scorgere il significato autentico della sessualità?

Nel Sinodo sui giovani del 2018, i vescovi hanno riconosciuto francamente che su molti temi «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione». Fuggire gli infingimenti significa accettare la logica dell’ascolto empatico, che non è solo una raccolta di informazioni, ma un vero incontro di libertà. Ascoltare con empatia richiede umiltà, pazienza, disponibilità a non giudicare, impegno a elaborare una comprensione più profonda. Senza questa alleanza, gli educatori rischiano di assumere un atteggiamento giudicante o di ricorrere ad un linguaggio enfatico e altisonante, che non aiuta a interpretare il vissuto. I giovani, invece, rischiano di cedere ad atteggiamenti reattivi, sottovalutando l’esperienza degli adulti e accettando come certezze granitiche le tesi più diffuse dai massmedia.

Qual è la responsabilità di noi adulti per questa profonda confusione di significati? Abbiamo dimenticato le parole per dirlo o forse anche le nostre convinzioni andrebbero riviste con il coraggio di fare autocritica?

Viviamo in un’epoca che la sociologa Eva Illouz vede caratterizzata dalla incertezza affettiva e dalla “fine dell’amore”. Non è vero che all’estendersi della libertà sessuale si sia accompagnata una crescita del benessere emotivo. Al contrario: «Oggigiorno la libertà sessuale è una sfera di interazione dove “tutto va liscio”: le parti dispongono di una grande abbondanza di risorse tecnologiche, di copioni e di immagini culturali che guidano il loro comportamento, al fine di trovare piacere in un’interazione, e per definirne i limiti. Le emozioni, tuttavia, sono diventate il piano problematico dell’esperienza sociale, un campo in cui regna la confusione, l’incertezza, per non dire il caos» ( La fine dell’amore, 12). Non penso che il problema del mondo adulto sia prima di tutto una questione di linguaggio. È piuttosto quello di fare seriamente i conti con l’eredità della rivoluzione sessuale, che prometteva la liberazione del sesso, ma ha finito per concorrere alla sua mercificazione. Se si trasmette l’idea che il sesso è l’emblema primario del desiderio e poi lo si presenta come un istinto incontenibile, un’energia senza logos e senza regole, non dobbiamo stupirci che l’esito sia l’aumento della violenza di genere e della depressione giovanile.

Affronterete il tema delle convivenze, del digitale, della pornografia e di tanto altro ma, parlando di giovani e sessualità qual è l’aspetto più problematico emerso nella vostra ricerca?

Senza dubbio, la confusione. Essa è alimentata dall’ambivalenza che contrassegna i mutamenti della cultura affettiva in cui siamo immersi. Importanti acquisizioni del costume sociale si accompagnano con spinte ideologiche, che fanno leva sui guadagni condivisi per insinuare surrettiziamente interpretazioni devianti, fino a decostruire il vincolo originario che sussiste tra l’alleanza dell’uomo e della donna, i legami della famiglia e la generazione della vita. Perso questo vincolo, che non è altro che l’orizzonte entro cui accediamo al mondo, i diversi tasselli dell’esperienza affettiva rischiano di diventare frammenti che non si compongono più in un disegno.

Un esempio?

Penso alla questione femminile. Una cosa è superare gli stereotipi del passato, che spesso hanno plasmato una figura femminile dedita esclusivamente alle mansioni domestiche e alle cure familiari, altro è decostruire il senso della maternità, considerandola come un ostacolo all’emancipazione della donna e alla sua realizzazione sociale. Rimuovere dall’immaginario di una ragazza la straordinaria ricchezza simbolica della gravidanza, in cui si esprime la forma femminile della fecondità, significa impoverire la sua capacità di accedere alla grammatica del suo corpo e alla dialettica del suo desiderio. Significa rieditare, in forme opposte a quelle del passato, una narrazione che censura ciò che di più intimo abita il corpo femminile.

Sul tema dell’accompagnamento dei ragazzi e delle ragazze lgbt ritiene che la pastorale debba aprirsi alla considerazione di quanto emerge dalla ricerca scientifica per quanto riguarda orientamento e identità sessuale, soprattutto in riferimento all’esigenza di considerare questi aspetti dimensione profonda della persona e non esito di una volontà di autodeterminazione?

La ricerca scientifica in realtà non è così unanime nei suoi risultati. L’attenzione al suo apporto, in ogni caso, è ineludibile. Non suggerirei però l’idea di affidarle semplicemente le chiavi per accedere all’intelligenza dell’umano, anche nella sua dimensione sessuale. Il mistero dell’esistenza è assai più complesso: volontario e involontario non sono componenti dell’umano che si possono giustapporre l’una all’altra, ma dimensioni che si intrecciano nella dialettica della libertà. Per questo dobbiamo trovare categorie più evolute per interpretare la misteriosa sintesi, sempre dinamica, che ogni persona realizza in sé. È giusto pertanto che, mentre ascoltiamo gli apporti di ogni disciplina che concorre al chiarimento dei temi discussi, procediamo pastoralmente sulla via, esigente ma fruttuosa, del discernimento condiviso.

Il corso di alta formazione che andrete e proporre dopo il convegno del prossimo marzo, punta a formare educatori competenti nell’accompagnamento affettivo dei giovani. Come immaginate questa proposta?

La immaginiamo all’intreccio tra rilettura della propria esperienza affettiva, approfondimento dell’antropologia cristiana e acquisizione di competenze metodologiche per costruire alleanze educative e proposte progettuali. Un investimento a servizio dei giovani e delle comunità.

Luciano Moia

Avvenire, 1 ottobre 2023