In tempo di quarantena sta cambiando il modo di insegnare e di fare formazione a tutti i livelli. Nelle scuole, nelle università e nelle aziende. Si parla molto di Didattica a Distanza (DaD) e ci si rende conto che non basta usare strumenti diversi, ma che occorre approntare percorsi nuovi. Ha affrontato questo argomento Sirem, Società italiana di ricerca sull’educazione mediale e Skilla, azienda di digital learning, che hanno redatto un manifesto proprio su questo argomento. Per capire come sta evolvendo il settore abbiamo rivolto alcune domande a Pier Giuseppe Rossi, presidente di Sirem e professore ordinario di didattica generale all’università di Macerata.
Perché si è reso necessario un manifesto sulla DaD?
L’emergenza sanitaria ha catapultato quasi tutta la popolazione in questo settore e ha fatto emergere problemi diversi e modalità interessanti di intervento. La didattica a di- stanza di domani non sarà la stessa di oggi.
In che modo sta cambiando?
In questa situazione un po’ tutti si stanno occupando di DaD, sia a livello di smart-working, sia di e-learning. Se linee guida per la didattica erano già presenti, come sull’importanza di una didattica rinnovata e non istruttiva, il Covid ha rotto gli schemi e fatto emergere quegli aspetti che da tempo dovevano essere al centro della didattica, ma che non trovavano attuazione. Per esempio, le competenze, il diverso bisogno di interagire con le situazioni concrete di lavoro. Molto spesso le abitudini e la routine prevalevano sulla necessità di introdurre quello che il contesto scolastico e lavorativo richiedevano. Anche l’interazione continua è diventata un’esigenza reale.
Siamo di fronte a un nuovo modello di smart-learning?
Sicuramente sì. Utilizzare anche modalità a distanza permette di dare più peso a contesti non formali, che richiedono tempi rilassati per contattare le realtà, recuperare dati e sperimentare. Questo non significa che si possa ridurre la formazione in e-learning. Si farà ricorso sempre più a modelli blended (misti, ndr). Non metterei a confronto i due processi, quello fisico e quello a distanza. Occorre capire come rendere sinergici di due processi. La questione della competenza dev’essere messa al centro: saper decidere e scegliere. Una lezione che il Covid ci ha insegnato è che bisogna saper affrontare situazioni non previste e non prevedibili. Non bastano più le conoscenze, ma occorre operare anche in situazioni complesse.
Come impatterà questo tipo di formazione sul mondo del lavoro?
Nel mondo del lavoro è già intervenuto negli ultimi anni. L’utilizzo del modello blended può essere molto utile perché collega bene formale e informale. Inoltre, stanno sempre più prevalendo modelli che diluiscono la formazione. Molte Academy industriali utilizzano pillole formative per accompagnare presenza e distanza. Si può prevedere un raddoppio della formazione e-learning dopo l’emergenza. Quindi si passerà dal 10 al 20% del totale.
Che differenza c’è fra la didattica per la formazione aziendale e quella universitaria?
In ambito professionale il bagaglio esperienziale di ognuno, che è ampio, può diventare patrimonio condiviso.
Cosa si dovrebbe fare per implementare la rete?
Oggi non tutta la superficie nazionale è ben connessa. Inoltre, tutti dovrebbero poter disporre di device adeguati, a partire dagli studenti universitari. È un problema di inclusione.
Come sarà la formazione del futuro?
Il ruolo della formazione è destinato a cambiare e ad acquistare valore strategico. La formazione consentirà di riflettere sul modo di lavorare. Sarà sempre più interattiva e anche la valutazione sarà calibrata sul processo.
Giovanna Sciacchitano
Avvenire, 6 maggio 2020