UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lʼeducazione da 0 a 6 anni? In dialogo tra genitori e scuola

Intervista a Paola Milani, docente di pedagogia familiare
29 Novembre 2021

Paola Milani insegna pedagogia sociale e pedagogia delle famiglie all’Università di Padova. È autrice di oltre 250 pubblicazioni e ha vinto nel 2018 il Premio ITWIIN per le donne inventrici e innovatrici con questa motivazione: «Per la capacità di sviluppare sinergie nel trasferire un ambito di ricerca dall’Università al territorio a beneficio dei bambini in situazioni di vulnerabilità».

Dal dire al fare, dalla teoria alla pratica: un passaggio per nulla scontato che nell’esperienza di Paola Milani ha il volto di 'Pippi', il Programma di intervento per la prevenzione dell’istituzionalizzazione nato nel 2010 come risultato di una collaborazione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Laboratorio di ricerca e intervento in educazione familiare dell’Università di Padova e dieci città italiane. Un tentativo di creare un raccordo e sviluppare una collaborazione tra istituzioni diverse a protezione dei bambini e delle bambine per ridurre il rischio di maltrattamento supportando i genitori che fanno fatica.

Ieri l’esperta è intervenuta al Festival “Fin da Piccoli” promosso dal Centro per la salute del bambino con un contributo sul tema 'Per un approccio olistico e intersettoriale alla vulnerabilità genitoriale'.

Professoressa Milani, come stanno oggi i genitori italiani e quali sono gli aspetti in cui incontrano maggiori difficoltà?

Non abbiamo dati di ricerca, di cui ci sarebbe bisogno, ma alcuni elementi possiamo evidenziarli. Siamo sprofondati in un inverno demografico senza precedenti: quest’anno per la prima volta nasceranno meno di 400 mila bambini e si è consolidata l’idea che si può essere adulti senza essere genitori; le crisi che stiamo affrontando - da quella climatica a quella pandemica - rendono il futuro più incerto e mettono in questione le capacità generative degli italiani.

Che quadro sociale emerge da questa nuova situazione?

Condizioni sociali molto difficili: nel nostro Paese un milione e 300.000 minori vivono in stato di povertà assoluta. Inoltre per ogni bimbo che nasce oggi ci sono 4/6 adulti, un dato demografico che modifica tutte le relazioni sociali, creando un contesto dove si oscilla dall’assenza di un codice normativo a un ruolo esagerato attribuito all’affettività e alle emozioni

E dal punto di vista educativo?

La gestione di questo equilibrio è complessa e si può passare dall’ipercura all’assenza di cura, alla trascuratezza, quando non si riescono a garantire risposte adeguate ai bisogni di sviluppo del bambino, che vanno nutriti. Di certo l’organizzazione sociale non è favorevole: gli stipendi sono bassi, i servizi insufficienti, si è spezzata la catena di apprendimento fra generazioni.

Cosa possono fare le istituzioni per prendersi cura di queste ferite?

Innanzitutto aumentare i servizi 0-6: non parcheggi ma spazi educativi in grado di ricostruire un dialogo con i genitori, che sono i soggetti principali dell’educazione; occorre fare insieme, non al posto dei genitori, lavorando sull’integrazione dei servizi: scolastici, sociali e sanitari. L’accompagnamento delle famiglie vulnerabili deve diventare un diritto esigibile, ovvero definito e collegato a un finanziamento. I fondi previsti nel Pnrr per l’età 0-6 anni per la prima volta dopo tanto tempo fanno ben sperare in questo senso.

E la comunità quale ruolo può avere?

Non dev’essere giudicante e colpevolizzante nei confronti dei genitori che fanno fatica, ma benevola, solidale. Occorre far ripartire un discorso sociale sui bambini per renderli nuovamente visibili e cittadini a pieno titolo: non com’è accaduto durante il lockdown, in cui sono stati letteralmente dimenticati, cosa che invece non è avvenuta in altri Paesi.

Fabiana Martini

Avvenire, 28 novembre 2021