UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

In 6 milioni a casa, scontro sulla Dad

Retromarcia sui “lavoratori essenziali”
10 Marzo 2021

Chiudere le scuole «non è stato facile: è stata una scelta difficile ma responsabile». Mentre da ieri due studenti su tre (quasi 6 milioni di alunni), sono stati riconsegnati alla didattica a distanza e le previsioni di Tuttoscuola dicono che, fra pochi giorni, la Dad potrebbe riguardare nove ragazzi su dieci (quasi 7,6 milioni, con l’unica eccezione di Sicilia, Valle d’Aosta e della “bianca” Sardegna), il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha provato a spiegare le ragioni di una scelta che sta, ancora una volta, mettendo a dura prova le famiglie. E, in una situazione già abbastanza caotica, si è inserito anche il “caso” dei figli dei cosiddetti “lavoratori essenziali”, ai quali, nel giro di due giorni, è stata prima confermata dal Ministero la possibilità di frequentare in presenza (come i disabili o gli alunni con bisogni educativi speciali), eventualità poi revocata dopo che le scuole sono state letteralmente sommerse di domande. In assenza di un elenco preciso delle categorie interessate, richiesto anche dal sindacato dei presidi Anp, sui quali era stata scaricata la responsabilità di stabilire chi avesse o meno diritto alla scuola in presenza, è saltato tutto. Tra le proteste delle famiglie.

«Abbiamo appiattito molto il concetto di Dad – ha sottolineato il ministro, intervenendo a un convegno al Senato –: nelle regioni più difficili ho visto una mobilitazione di volontariato competente. È vero che la scuola per definizione è in presenza, ma il Paese non è stato fermo, la scuola non è stata chiusa, il Paese non è stato reclinato su se stesso. Anche la Dad di ora non è quella di un anno fa. Nel suo insieme, la scuola italiana ha reagito, stiamo inducendo tutti ad avere attenzione alla presenza a scuola dei ragazzi più fragili, ma la scuola non si è mai fermata», ha aggiunto il ministro. Che non si è sbilanciato su un eventuale ritorno in classe dopo Pasqua. «Non c’è un orizzonte, è la nostra capacità di essere uniti che ci dà l’orizzonte, la responsabilità non è solo del governo è di tutto il Paese», ha sottolineato Bianchi.

Al Ministero di viale Trastevere è stato un fine settimana ad alta tensione dopo l’apertura del “caso” dei cosiddetti “lavoratori essenziali”, scatenato dalle comunicazioni contrastanti uscite dagli stessi uffici ministeriali. Che hanno provocato le proteste delle famiglie, con migliaia di lavoratori costretti, in poche ore, a rivedere l’organizzazione familiare, per riuscire a conciliare le esigenze di cura dei figli, soprattutto quelli più piccoli della scuola dell’infanzia e della primaria (chiuse anch’esse, per esempio, nella Lombardia in “arancione rafforzato” dalla scorsa settimana), con la necessità di continuare ad andare al lavoro. A scatenare questa due giorni di fuoco, è stata una nota del capo dipartimento uscente del Ministero, Marco Bruschi, che riprendeva le disposizioni del Piano scuola 2020-2021, «nella parte in cui prevedono che vada garantita – si legge del documento – anche “la frequenza scolastica in presenza degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”».

L’indeterminatezza della nota, che non specificava quali fossero queste «categorie di lavoratori indispensabili», ha immediatamente provocato la reazione dei dirigenti scolastici. «Non riteniamo accettabile – si legge in una nota dell’Associazione nazionale presidi – rimettere ai dirigenti scolastici l’individuazione delle categorie legittimate a fruire della didattica in presenza per i propri figli. Se la didattica in presenza per i figli dei key worker costituisce un diritto, allora non è dato arbitrio: non possono essere i dirigenti scolastici a individuare chi sia il titolare del diritto dando luogo, inevitabilmente, a ricostruzioni diverse e conseguenti disparità di trattamento nei confronti dei genitori».

Nel giro di poche ore, ecco l’inversione di rotta firmata dal capo di gabinetto, Luigi Fiorentino e inviata alle scuole nel tardo pomeriggio di domenica. Con riferimento alle “zone rosse”, la nota precisa che «resta salva la possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali». Dei figli dei “lavoratori essenziali” non c’è più traccia. «La scuola in presenza va garantita anche ai figli del personale sanitario», protesta il sindacato degli infermieri Nursind, che si appella al premier Draghi. «Siamo sconcertati, va ripristinata subito la deroga sulla didattica a distanza per i figli dei sanitari», ribadisce il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli.

Paolo Ferrario

Avvenire, 9 marzo 2021