Un circolo vizioso, una 'morsa' che impedisce la formazione di nuovi talenti e uno sviluppo economico più rapido. L’Italia è intrappolata in un ' low-skills equilibrium', vale a dire un basso livello di competenze generalizzato. A dirlo è l’Ocse nella sua 'Strategia per le competenze' presentata ieri al ministero dell’Economia. Una situazione in cui la scarsa offerta è accompagnata da una debole domanda da parte delle imprese. Insomma da una parte la forza lavoro non si presenta sul mercato preparata, attrezzata a svolgere le diverse mansioni possibili, dall’altra le aziende non pretendono. Le conseguenze sono una crescita economica fiacca negli ultimi 15 anni: a fronte dei miglioramenti nei tassi di occupazione.
«L’Italia ha maggiori difficoltà rispetto ad altri paesi nello sviluppare le competenze, per far fronte alla globalizzazione, alla digitalizzazione e all’invecchiamento della popolazione, basti pensare che ci sono 13 milioni di adulti con basse competenze, si tratta del 40%, un livello molto più alto di quello che si osserva in altri paesi» ha detto senza troppi giri di parole il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria. Il rapporto è stato realizzato tra il luglio 2016 e il marzo 2017 da più di duecento stakeholder (rappresentanti il mondo delle imprese, dei lavoratori, dell’istruzione, degli istituti di ricerca e il governo). Positivo il giudizio sulle misure a sostegno dell’occupazione, a partire dal Jobs Act. «Sono circa 850mila posti di lavoro creati da quando queste riforme sono state adottate» e «il numero di nuovi contratti a tempo indeterminato è aumentato». Ma si può e si deve fare di più secondo l’Ocse «stimolando la creazione di lavoro abbassando in maniera permanente i contributi sociali gravanti sui datori di lavoro».
Uno dei tasti dolenti è che a fare la differenza nel mondo del lavoro italiano non sono le competenze ma la carta d’identità, con i giovani (anche quelli laureati) costretti alla sotto-occupazione anche perché non abbastanza preparati. «Il livello dei salari in Italia è spesso correlato all’età e all’esperienza del lavoratore piuttosto che alla performance individuale». A preoccupare anche la distanza storica tra il Nord e il Sud. Che si manifesta già dal livello di istruzione. «L’Italia, negli ultimi anni, ha fatto notevoli passi in avanti nel miglioramento della qualità dell’istruzione », ma forti sono le differenze nelle performance degli studenti, «con le regioni del Sud che restano molto indietro». Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che «la riforma del sistema educativo, l’accumulazione del capitale umano, sono la strategia di gran lunga più efficace nel lungo termine per far crescere benessere, ricchezza e prodotto».
Non va meglio sul fronte dell’istruzione superiore. «Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%». Inoltre «gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze» in lettura e matematica (26 esimo posto su 29 paesi Ocse). Non solo, quelli che ci sono non vengono utilizzati. L’Italia è l’unico Paese del G7 in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine.
Altro dato negativo quello legato all’occupazione femminile. L’Italia è al quart’ultimo posto per percentuale di donne occupate. Dato preoccupante visto che molte donne non sono neanche alla ricerca di un lavoro e questo fa sì che si registri il terzo tasso di inattività più alto nell’area che conta 35 stati industrializzati. Il fatto che le donne sono spesso percepite come le principali assistenti familiari ha il suo peso. Ma questa è solo una parte della storia, visto che il tasso di fertilità in Italia è tra i più bassi dell’Ocse. Per Gurria bisogna puntare ad un’organizzazione flessibile del lavoro che preveda l’accesso ai servizi all’infanzia a costi più contenuti. In particolare sugli asili nido che visto che frequentarli porta «benefici anche nelle capacità di apprendimento » dei bambini.
Cinzia Arena
Avvenire, 6 ottobre 2017