Per prendere di petto un pachiderma ci vuole un bel po’ di coraggio. Ma se il pachiderma è il sistema scolastico italiano, di coraggio ce ne vuole il doppio, da coniugare a ostinazione, competenza e metodo. Riforme, mezze riforme, revisioni e aggiustamenti si sono susseguiti negli ultimi settant’anni senza però mai svecchiare nei fondamentali la scuola e liberarla dai suoi tanti aspetti mortificanti improbabili per una comunità educante. A Daniele Novara però, pedagogista che non ha più bisogno di presentazioni, non difettano né il coraggio né la perseveranza e quando segnala il vuoto metodologico e i risultati fallimentari che permeano l’istituzione non lo fa per il gusto di provocare. Sempre più convinto che la scuola o è di qualità o è dannosa e che, poiché da lì si passa tutti, è giusto provare a farla diventare occasione creativa nella vita di ogni persona, Novara propone una trasformazione possibile, senza evocare riforme e a costo zero. Tutto documentato in questo suo nuovo lavoro, Cambiare la scuola si può (Bur Rizzoli; pagine 263; 15 euro) che lungi dall’essere un manuale d’istruzione per inventare una scuola ideale, è la proposta di un metodo. «Abbiamo la più ampia normativa sulla libertà di insegnamento di tutto il mondo - spiega - e una legge sull’autonomia delle scuole che consente molteplici iniziative di cambiamento. Eppure quella degli insegnanti è ancora una professione che non ha una pedagogia operativa scientifica. Da anni la scuola si fonda su pratiche arcaiche, senza che ci si chieda se hanno ancora senso. Del resto i docenti sono reclutati in base alla conoscenza della materia e non sulle competenze pedagogiche essenziali per insegnare».
Novara cita la lezione frontale, basata sull’idea che insegnare sia un’operazione di travaso, fondata su spiegazione e ascolto poi studio e ripetizione. Teoria lontana dalle più recenti acquisizioni delle neuroscienze sul funzionamento dell’apprendimento, ignara delle esperienze educative e pedagogiche di grandi innovatori come Maria Montessori, Célestin Freinet, don Milani o Mario Lodi. «Ma la didattica delle lezione frontale - che richiede tempi di attenzione dichiarati da tutti gli studi insostenibili per un adulto, figurarsi per un bambino - dimentica che si impara facendo, per imitazione, dall’esperienza diretta, nel lavoro con gli altri, nell’essere protagonisti. E questo vale dal nido all’ultimo anno delle superiori». Alla scuola del controllo - quella delle note per chi parla e disturba, dell’intervallo in classe per punizione o per tener a bada bambini esagitati, dei test di verifica con le crocette da assegnare, della centralità della cattedra - Novara oppone la scuola dell’apprendimento. Bambini e ragazzi sono cambiati e il principio autoritario dell’insegnante controllore protagonista della materia non funziona più. E l’insofferenza profonda degli allievi manifestata, chi con l’azione di disturbo permanente chi con il silenzio catatonico, dovrebbe suggerire un cambiamento di rotta.
Quando Daniele Novara racconta il suo metodo maieutico applicato al mondo della scuola, nato dall’esperienza pedagogica di quarant’anni di lavoro nel campo delle relazioni educative e delle situazioni di conflitto, ha in mente la scuola luogo di aggregazione che attiva e tira fuori le risorse degli allievi. Quella, riassunta in un vero e proprio manifesto in sette punti, in cui si impara dai compagni condividendo il sapere, con le domande che non cercano risposte esatte ma attivano ricerca, interesse, curiosità e voglia di scoprire; nel laboratorio, cioè nell’esperienza diretta alla ricerca di soluzioni ai problemi attraverso più informazioni possibili. Dove s’impara sbagliando, dai propri errori, valutando i progressi e non l’elenco delle incertezze o dei fallimenti. Infine con l’insegnante che in veste di regista lascia il protagonismo ai suoi allievi, predisponendo invece di disporre. Dulcis in fundo, la scuola dove è bello andare perché lì ci sono i compagni e s’impara divertendosi, attraverso il lavoro. Questo per chi pensa ancora si tratti della scuola senza regole, ruoli né funzioni precise, dove ognuno fa quel che vuole.
Rosanna Sisti
Avvenire, 3 novembre 2018