Stupri e violenza tra ragazzini: i recenti casi di cronaca di questi giorni interrogano le nostre coscienze. Certamente i ragazzi, preadolescenti o poco più, hanno acquisito un alfabeto pesantemente scomposto e dissociato a tal punto da “cosificare” se stessi e le altre persone che incontrano, scarnificate nella loro realtà e percepite come oggetti che hanno i meri caratteri della virtualità, smarrendo qualsivoglia riferimento alla realtà vitale.
La sregolatezza ha espunto le regole del gioco dell’abitazione umana del mondo e noi tutti siamo diventati un altro mondo. Il “cambiamento d’epoca” come papa Francesco ha definito la mutazione in atto, in certi contesti veri e propri ghetti di sub-cultura, linguaggi, paradigmi di pensiero e messaggi, sono “altri” rispetto a ieri e sono le “periferie degli scarti” che ci interpellano come cittadini, come cristiani e professionisti dell’educazione. Se la famiglia di troppi preadolescenti non è più l’alveo positivo di sicurezza e di cura, in realtà nelle situazioni limite essa stessa è vittima che perversamente fa altre vittime, perpetuando una drammatica catena di sconfitti. Per questa ragione va evitata la criminalizzazione e colpevolizzazione dei genitori, poiché si corre il rischio di censurare responsabilità e complicità pubbliche e collettive. Il cammino intergenerazionale in questi casi si salda tra genitori e preadolescenti nel segno di un alfabeto sconvolto da linguaggi criminali. Comunque non possiamo sottacere che nel bene come nel male la famiglia svolge una funzione normativa nei confronti di bambini e ragazzi.
Dopo gli incredibili fatti di inaudita violenza delle scorse settimane, pare si stia diffondendo la “voglia di punire” da un lato e la militarizzazione dei territori dall’altro. La punizione può affascinare in quanto correla una reazione legittima e indiscutibile a un comportamento sbagliato. La parola ha un etimo interessante: deriva da poena, termine latino che rimanda a una radice indoeuropea che significa “pagare” che rinvia a sua volta allo scambio, molto rinforzato dalla cultura mercantile. Una punizione perché sia efficace deve iscriversi all’interno di una relazione educativa che sempre pone al centro il favor minoris, poiché la persona è al di sopra della norma e la stessa è al servizio della persona; l’azione del punire deve perseguire la rieducazione e la redenzione come recita la Costituzione.
Educare e ri-educare, nel senso di tornare a educare, riteniamo che costituisca la chiave di volta per orientarci verso orizzonti di speranza attiva. Solamente un cambiamento dei contesti di vita per delineare diversi sfondi di rappresentazione di sé e degli altri può portare a una ricerca seria di una via ricostruttiva. Considerata la complessità della sfida non è pensabile che la responsabilità ricada su una sola istituzione o soggetto sociale, ma è indispensabile la costruzione di un tessuto di correlazione dialogica e di un’alleanza di corresponsabilità. Troppo spesso i singoli mondi tendono a essere autocentrati tanto da ritenersi autosufficienti; ciò forse rasenta il delirio di onnipotenza che, in modo particolare in educazione, non funziona. Infatti educare è azione “politica” nel senso che mobilità la città nella costruzione di una comunità educante.
La prima “mobilitazione pedagogica” riguarda gli adulti ai vari livelli, nella delineazione di una progettualità formativa “aperta” che chiamerà in causa una partecipazione attiva degli stessi ragazzi e giovani. Famiglia, scuola, parrocchia, forze dell’ordine, consultorio, servizio sociale e sanitario, mondo sportivo… sono chiamati a costruire un sistema educativo integrato, basato sulla stima reciproca tra i diversi soggetti coinvolti e sulla leale collaborazione.
La lettura comunitaria del territorio e delle sue risorse va condivisa e l’alleanza educativa diviene metodo e obiettivo insieme, a partire dalla realtà dei nidi e delle scuole dell’infanzia. La convinzione che sostiene l’azione va ricondotta all’idea-guida che la formazione di sfondi di riferimento di relazioni e di contesti ricostruiti deve assumere un orizzonte longitudinale che mobilita, in maniera specifica, tutte le stagioni della vita.
Come Fism sperimentiamo nelle nostre realtà come attraverso l’ascolto attivo e la costruzione di sfondi valoriali di significati “agiti” quali la solidarietà, il rispetto reciproco, anche di genere, la gentilezza, la prosocialità e la mutualità siano ingredienti che fanno vivere la condivisione e la fratellanza a piccoli e adulti. Nel quadro complessivo del processo educativo e della sua progettualità, ci pare che la formazione affettivo-sessuale sia dimensione costitutiva. Certamente assistiamo a una erotizzazione precoce e diffusa che mina alla radice la costruzione della personalità, espungendo il codice dell’amore che è tenerezza, incontro con l’altro, scambio di sentimenti ed emozioni. Non possiamo abbandonare i nostri bambini e via via preadolescenti e giovani a un analfabetismo emotivo affettivo che riduce l’uomo al genitale e al consumo per il proprio piacere egocentrico ed egolatrico. Va interrotto il gioco al rimpallo tra famiglia, scuola e altri soggetti che alla fine rinforza l’omissione degli adulti che si rifugiano nel silenzio. L’educazione affettivo-sessuale è educazione alla vita e deve iniziare, a misura dell’età, sin dall’infanzia, mobilitando la partecipazione e il coinvolgimento della famiglia, nel segno dell’umanizzazione.
Bruno Forte, responsabile pedagogico Fism
Avvenire, 17 ottobre 2023