L’impegno alla fraternità fra i popoli entra in università. Anche se siamo in pieno agosto. Merito della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, che alla cultura dell’incontro dedica la sua Settimana teologica estiva ospitata, com’è tradizione, dal monastero benedettino di Camaldoli nella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. «È l’ultimo evento di quest’anno associativo in cui ci siamo formati sul tema della pace», spiegano i presidenti nazionali Carmen Di Donato e Tommaso Maria Perrucci. E aggiungono: «Vogliamo essere un segno di pace nelle realtà che viviamo e nel mondo. Come ci ha detto papa Francesco durante la Gmg, c’è bisogno di giovani che “pregano per la pace, vivono in pace e costruiscono un avvenire di pace”».
Da tutta Italia sono arrivati sull’Appennino toscano a partire da lunedì scorso per un appuntamento che unisce riflessione, confronto e preghiera e che si conclude oggi. “Diritti alla pace: tracciamo insieme strade di giustizia” è il filo conduttore di questa edizione. «Occorre riscoprire le fondamenta teologiche della giustizia, accostando le Scritture all’esperienza concreta che nella società possiamo fare di questa virtù», dicono i due presidenti. Sullo sfondo il conflitto in Ucraina, i drammi dei migranti con le loro morti in mare, le tensioni nel Mediterraneo.
«Le ingiustizie continuano a essere un nodo irrisolto anche nelle democrazie occidentali – sottolineano Carmen e Tommaso –. Basti pensare alle numerose guerre di dominio, alla dilagante povertà, alle disuguaglianze alla base della crisi climatica e alle conseguenze che questa ha sui Paesi più poveri. Consapevoli di vivere in una realtà che continua a perpetrare come concetto cardine quello di una giustizia di scambio in cui ogni torto viene ripagato e dove l’esercizio della coscienza individuale e comunitaria viene messo a tacere, serve comprendere come porre lo sguardo su una nuova cultura basata sulla corresponsabilità tramite il concetto di giustizia riparativa. Vanno delineati i nodi problematici e le occasioni da cogliere per ripensare una pedagogia della giustizia, tentando di allargare lo sguardo per comprendere come, vivendo a pieno la nostra umanità, possiamo lottare contro le ingiustizie di fronte alle quali non dobbiamo restare indifferenti».
A guidare i ragazzi nelle sei giornate camaldolesi sono il gesuita Francesco Occhetta, politologo e scrittore, e Daniela Sironi, presidente delle Comunità di Sant’Egidio del Piemonte. «La Bibbia – afferma padre Occhetta – ci insegna che, quando ci sono delle fratture, è necessario anzitutto dare loro un nome. Va riconosciuta la colpa e va ammesso il male fatto. Poi è essenziale mettere al centro la vittima». Perché avvenga l’incontro tra vittima e reo, c’è bisogno di un mediatore. «Il mediatore agisce un po’ come l’enzima che scioglie le incrostazioni per aprire alla possibilità di una riconciliazione». Quindi Occhetta ricorda che, se è vero che a guidare uno Stato è la giustizia “dei forti”, c’è anche «la giustizia “dei deboli” che parte dalla sincera domanda di verità di tutti noi e che può cambiare la storia». Da Sironi una serie di esempi concreti di impegno caritativo a favore dei migranti che «in tutto il mondo sono tra le maggiori vittime di ingiustizie». (G.G.)
Avvenire, 12 agosto 2023