Virginia Di Vincenzo abita a Chieri (Torino). Ha iniziato da poco il primo anno del Liceo Classico. Ama leggere, scrivere, stare con gli amici, sentire musica. Marco Pappalardo è di Catania, classe 1976. Sposato con Laura, è docente di Lettere a Caltagirone presso l'Istituto Superiore "Majorana-Arcoleo". Insegna periodicamente “Educazione e mondo virtuale” presso l’Istituto Teologico San Tommaso a Messina e ha scritto libri su temi educativi, sociali, religiosi, formativi per varie case editrici.
Sono i due protagonisti di “Parole adolescenti. Virginia e il professore”, una nuova rubrica ospitata dalla rivista salesiana “Note di pastorale giovanile”. Una specie di Diario di bordo di una adolescente, che ama Leopardi, D'Avenia e Tatiana&Alexander (e i suoi amici, e le pizze...) alle prese con il liceo classico che sta iniziando e la voglia di vivere "senza fretta" questa avventura che si chiama adolescenza. Le sue "Lettere al Prof" sono frammenti gioiosi e problematici della sua esistenza, che condivide con tanti altri amici e amiche, e che possono risultare utili per riflettere anche agli educatori e genitori. Le risposte del Prof sono un delicato e fermo avvicinarsi alla vita caotica e bellissima dei ragazzi di oggi, "fragili e spavaldi", come ormai la letteratura sociologica e psicologica evidenzia.
L’ultima lettera è dedicata ai temi della pandemia, della solitudine, della scuola. Inizia così:
Caro Prof,
quanta voglia avrei di parlare di primavera che avanza, di una scuola faticosa e bella, di nuovi amici e nuove scoperte... e invece eccomi qua, col pensiero fisso a quanto stiamo vivendo, in questi giorni, dove i ritmi e le routine delle nostre vite sono cambiati, improvvisamente e inaspettatamente. Stare a casa, senza uscire neanche per andare a scuola o al lavoro (eccetto quelli che hanno impegni vitali e necessari per la collettività), è considerato dagli italiani un enorme sforzo. Certo, questa situazione è pesante, difficile. Però pensiamo ai malati, a chi non ce la fa. Non poter morire accanto ai propri cari, andarsene senza tenere la mano di chi ci ama, senza uno sguardo di affetto, e per i familiari non avere neanche il conforto di una benedizione, di una sepoltura. Sento spesso al TG che “sembra di essere in guerra”. Mi dà fastidio sentirlo. Beh, io non sono mai stata in guerra, ma credo neanche chi dice queste cose. La guerra era guerra, ed era peggio, ed era una paura quotidiana, per anni, con tante altre brutte paure, e magari neanche una casa, distrutta per i bombardamenti, come ho letto nei libri di storia o in qualche testimonianza. E senza tutte le "comodità" di adesso, come le nostre videochiamate, lezioni online. Quattro anni di questa vita sono molto peggio di un mese di quarantena. E allora credo che associare la nostra situazione tutto sommato “agiata” a una situazione come quella della guerra sia irrispettoso per chi l'ha davvero vissuta. Solo chi è malato può dire di essere davvero “in guerra”…
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