Sono più di diecimila, i bambini e i ragazzi che frequentano i 302 doposcuola parrocchiali della diocesi di Milano. E più della metà sono stranieri: il 57,8% per l’esattezza. Una presenza in crescita: nel 2010 erano il 41%. Mentre si punta a coinvolgere sempre più anche i genitori, a creare occasioni di incontro, conoscenza, amicizia tra le famiglie. E a fare rete fra parrocchie, scuole, società civile, istituzioni pubbliche. Ecco perché i doposcuola non sono più solo il luogo in cui – ruolo sorgivo, sempre prezioso – si aiuta chi fa più fatica a studiare e fare i compiti, ma sono ormai veri e propri laboratori di interculturalità, aggregazione, educazione alla cittadinanza attiva. «Il successo scolastico dei minori stranieri è vettore del miglioramento sociale, la loro socializzazione un elemento chiave dell’integrazione. I doposcuola sono una risorsa non solo per il futuro di questi ragazzi, ma per il futuro dell’intera società italiana. Se avremo una società multietnica nel segno della pace e dell’inclusione, sarà anche grazie a loro». Parola di Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università degli Studi di Milano, intervenuto ieri al seminario Integrare saperi per promuovere cittadinanza. Il doposcuola come laboratorio di interculturalità promosso dall’Area minori di Caritas Ambrosiana assieme alla Fondazione oratori milanesi.
I doposcuola ambrosiani in cifre. Il seminario è stata l’occasione per condividere esperienze tra i volontari. E per rilanciare i risultati del Rapporto di ricerca 2017 sui doposcuola parrocchiali in diocesi (pubblicato lo scorso febbraio, a tre anni dal precedente). Secondo i dati dell’indagine Caritas, gli oltre diecimila utenti (tremila in più rispetto al 2010) sono accompagnati da cinquemila volontari, soprattutto donne (67,9%), in maggioranza fra i 56 e 70 anni (il 38,3%) e fra i 15 e i 19 anni (22,3%). Novità importante: i doposcuola, luogo esemplare dell’impegno gratuito, sono sempre più «strutturati». Nel 34,5% dei casi hanno un coordinatore dipendente o, comunque, retribuito. Cresce la presenza di figure professionali, crescono le collaborazioni con le realtà del territorio; la relazione con le scuole si consolida (nel 24,1% dei casi si arriva alla stipula di un protocollo d’intesa). E il 60% circa dei doposcuola riesce ormai ad accedere a fonti di finanziamento – dai contributi dei Comuni ai bandi delle fondazioni: un fatto che rappresenta la cartina di tornasole del sempre maggiore apprezzamento verso i doposcuola e il loro servizio educativo al territorio da parte degli enti finanziatori.
Così si ampliano le attività. Svolgere i compiti resta l’attività centrale ma non l’unica: dal gioco alle gite, dalle attività sportive ai laboratori, crescono le attività con funzione aggregativa e socializzante che affiancano il sostegno allo studio (oltre alle attività di orientamento). Nove utenti su dieci fanno le elementari o le medie. E dodici su cento manifestano disturbi specifici dell’apprendimento. Dalla ricerca emergono anche le difficoltà delle famiglie: i problemi economici e di lavoro sono i più frequenti, assieme alle «difficoltà di gestione» del nucleo.
Nella scia di don Milani. La padronanza della lingua – il potere della parola – rende cittadini. Rende eguali. Ambrosini, dialogando con i volontari, ha additato la lezione di don Lorenzo Milani. Molti gli spunti offerti dalla sua articolata riflessione. Eccone due. Non c’è solo la dimensione legale della cittadinanza, pur importante, ma anche un’educazione alla cittadinanza attiva, una promozione dell’integrazione civica che passano attraverso la possibilità di sperimentare – e apprezzare – valori come la parità uomo-donna o il rispetto per le convinzioni e le fedi diverse dalla propria. Come accade nei doposcuola. Attenzione, però, riprende il sociologo: «Se nei doposcuola si mettono assieme – come accade spesso – ragazzi stranieri provenienti da famiglie immigrate integre con ragazzi italiani provenienti da famiglie fragili, problematiche, conflittuali, rischiamo un’integrazione al ribasso. Dobbiamo lavorare di più sulla componente italiana ». E su doposcuola sempre più inclusivi e aperti, verso i ragazzi, le famiglie, il territorio, perché non diventino 'riserve indiane' per i 'casi difficili'.
I doposcuola sono una occasione di amicizia e impegno per i ragazzi ma pure per mamme e papà. Senza preclusioni di fede
Abir, figlia di tunisini, ha tredici anni. Fa la terza media, vive al Giambellino, frequenta lo «Spazio Pinocchio», al Santo Curato d’Ars. E sogna di fare la hostess. Intanto: aiuta gli altri a diventare grandi. E a coltivare nuovi sogni. «In oratorio ho ricevuto un grande sostegno nelle materie in cui ero fragile. Io, a mia volta, ho aiutato i bambini delle elementari a fare i compiti e a studiare. Facciamo anche laboratori e feste. Io riesco a far ridere le persone, sono una ragazza felice. Spero che tante persone come me riescano ad essere felici imparando cose nuove in oratorio». Abir ha offerto la sua testimonianza al seminario dei doposcuola svoltosi ieri mattina in Caritas Ambrosiana, intervenendo dopo Amel, la sua mamma. Sì, perché i doposcuola non sono risorsa solo per bambini e ragazzi, ma anche per i loro genitori. E non sono solo un luogo dove ricevere aiuto, ma dove incontrare altre persone. Fare comunità. E mettersi al servizio degli altri. Come accade al doposcuola nato dalla collaborazione fra la cooperativa Spazio Aperto e la parrocchia del Santo Curato d’Ars.
«Ho due figlie, Abir va al doposcuola da otto anni, la bambina più piccola da tre – racconta la donna –. Quando sono arrivata a Milano non conoscevo la lingua, il modo di vivere, nulla e nessuno. È stato un periodo molto faticoso. Quando Abir ha iniziato la scuola, mi sono resa conto che non ero in grado di aiutarla. Voglio dare voce a tutti i genitori stranieri, dire grazie a nome loro: il doposcuola ci ha dato un aiuto straordinario. Vedo i nostri bambini felici, quando vanno in oratorio. È difficile vivere qui senza sorelle o fratelli, senza i parenti o le amiche di prima con cui confidarsi – confessa, mentre la voce si spezza per la commozione –. Ma proprio qui, dove non avevo nessuno, ho trovato persone che mi hanno accolto e ascoltato, rispettando la mia religione ». Amel porta il velo. «Fra quanti vengono in parrocchia per i doposcuola, i musulmani sono numerosi. Così si offre una preziosa chance di incontro e conoscenza reciproca», aggiunge Francesca Gisotti, dell’Area minori di Caritas Ambrosiana. Proprio la capacità di coinvolgere i genitori è una delle carte vincenti dei doposcuola, sottolinea Francesca, ricordando, di Amel, il prezioso ruolo di «mediatrice» assunto nel tempo rispetto alle donne tunisine e egiziane del quartiere, soprattutto quelle appena arrivate. Al doposcuola «Il Temperino» di Monza, parrocchia San Rocco – esperienza cui ha dato voce Fabio Clarotto – sono riusciti a coinvolgere non solo bambini e genitori ma anche i nonni. Con spazi e tempi dedicati – ad esempio – alle mamme straniere, che hanno trovato un prezioso riferimento in alcune suore del Pime, anch’esse straniere.
Lorenzo Rosoli
Avvenire, 3 dicembre 2017