A scuola in ospedale «sono più gli alunni malati che insegnano a noi insegnanti. Soprattutto invitano, sempre con il sorriso, a non arrendersi mai». Ha pianto e si è imbarazzata per l’inaspettato riconoscimento Daniela Di Fiore, 51 anni, insegnante di italiano e storia dal 2010 nella scuola all’interno del reparto di oncologia pediatrica del Policlinico Gemelli di Roma. Si è emozionata soprattutto perché «do per scontato come normalità il lavoro che faccio in ospedale, come tanti altri docenti ospedalieri, con passione e dedizione. Non dimentichiamoci che la scuola in ospedale è un’eccellenza italiana che all’estero non esiste».
Non credeva di riuscire a resistere più di un anno in quel ruolo, soprattutto dopo che un suo alunno è morto a metà anno, visto che «la lezione individuale e la situazione ti portano a creare un rapporto ancora più stretto con i ragazzi. Ma sono stati gli altri, allora, a darmi la forza di continuare, a convincermi che quello era ed è il mio posto. Ho capito che è questa la mia missione». È rimasta soprattutto perché «questi ragazzi mi hanno insegnato il senso della vita, la pazienza, il coraggio – aggiunge –. Quando un alunno ti manda un sms alle 6 di mattina, chiedendoti di arrivare un po’ prima così potrà fare lezione prima della radioterapia, non puoi non pensare che siano loro a insegnare a te il modo più bello di stare al mondo».
Con i suoi libri sui 'ragazzi in bandana' ha acceso un faro sulla realtà del diritto allo studio per i malati di cancro e lungo degenti, per cui già prima del Covid nei casi di immunodepressione c’era la dad. «Ma in ospedale non essere in presenza è ancora più difficile e la didattica a distanza regge fino ad un certo punto, perché dopo la lezione ci si ferma a parlare – spiega – i ragazzi confidano le loro preoccupazioni che non raccontano ai genitori, sono loro a rassicurare noi adulti». Dei 400 pazienti che in questi anni ha incontrato l’ha sempre colpita «il coraggio e la grande forza di vivere, il grazie per le lezioni anche delle famiglie che comprendono come quella didattica in realtà è un momento fondamentale di normalità».
Alessia Guerrieri
Avvenire, 15 novembre 2021