«C’è una differenza tra il partorire e il generare. Partorire è un momento fisiologico circoscritto, generare è un processo che si distende nel tempo e nella profondità delle relazioni. L’impressione è che, come Chiesa, senza rendercene conto abbiamo passato troppo tempo nell’abitudine al partorire senza generare». Ha esordito così don Giuliano Zanchi – teologo e segretario della Fondazione “Adriano Bernareggi” di Bergamo – in veste di relatore al seminario “Il volto di una comunità che genera alla vita cristiana. Tra educazione, formazione e iniziazione che si è svolto il 12 settembre 2019 su impulso della Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università.
L’evento, seconda tappa di avvicinamento al seminario nazionale del 19-21 marzo 2020 “Educare sempre, educare ancora”, è stato organizzato con la collaborazione dell’Ufficio catechistico nazionale, dell’Ufficio liturgico nazionale, del Servizio nazionale per la pastorale giovanile e della Caritas Italiana e ha cercato di focalizzare alcuni nodi scoperti in seno alle comunità credenti.
«Il primo problema – ha continuato Zanchi – è costituito dall’infantilizzazione dell’evento cristiano portando a ripiegamento religioso e a una sostanziale immaturità del cristiano adulto. Una seconda questione riguarda, a mio avviso, l’inconsistenza talvolta della capacità profetica della comunità. Il cristianesimo è un fatto di legami, non di cose da sapere, ma di annuncio da rendere evidente con i fatti, con il modo in cui si vive. Infine, mi pare urgente rivalutare l’ambito insieme più trascurato e più importante dell’iniziazione cristiana: la liturgia».
Altrettanto propositivo è apparso lo stimolo fornito dall’intervento del secondo relatore, Chiara Giaccardi, docente di Sociologia dei processi culturali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Papa Francesco afferma che: “Non siamo di fronte a un’epoca di cambiamenti, ma a un cambiamento d’epoca”. Ciò ci interpella ad aprire processi nuovi di generazione. Ma come?». La risposta per la professoressa Giaccardi sta in una serie di passaggi per rimettere in moto il concreto vivente che ogni comunità rappresenta. «Il primo riguarda la transizione da un modello trasmissivo d’iniziazione cristiana a uno generativo. L’educazione non può essere solo una trasmissione, ma accrescere ciò che ci è comune. In secondo luogo dobbiamo sforzarci di sostituire il modello imperante di una riproduzione spropositata dell’io con il paradigma della generazione portatrice di un’istanza antropologica collettiva. Per questo considero essenziali i cinque verbi proposti da papa Francesco per superare l’individualismo imperante: prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare».
Non meno produttive sono state le indicazioni scaturite dai due gruppi di lavoro che hanno coinvolto gli altri partecipanti. «Ci sembra utile fissare alcune priorità», ha rimarcato don Jourdan Pinhero, responsabile del Settore per il catecumenato dell’Ufficio catechistico nazionale nel sintetizzare le conclusioni del primo gruppo, «quali la scelta di un modello di comunità che accompagna, la capacità di declinare il valore testimoniale della comunità nella specificità del proprio ambiente, il riconoscere il protagonismo del soggetto, il puntare sulla formazione permanente del clero, e l’accettare la fatica di sentieri diversificati e anche alternativi di comunicazione e di approccio».
Don Giorgio Bezze, direttore dell’ufficio catechistico della diocesi di Padova, ha richiamato invece alcune delle considerazioni emerse dal secondo gruppo di lavoro: «Dovremmo coltivare di più la necessità di una conversione spirituale personale, insieme a esperienze coinvolgenti come quelle con i più disagiati. Inoltre, andrebbero riorganizzati gli uffici di pastorale e rendere più progettuali tracce che emergono da documenti importanti, ma spesso trascurati, come i tre verbi che hanno caratterizzato l’ultimo Sinodo: riconoscere, interpretare e scegliere».
L’appuntamento si è chiuso con l’indicazione di mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione Episcopale: «Germi di generazione ve ne sono, ma non vengono ricomposti a un’unità positiva o adeguatamente condivisi. Ciò significa anche valorizzare le esperienze e le competenze nell’ambito dei segmenti di pastorale».