UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Così l’arte di oggi guarda all’infinito e ci parla di Dio»

Don Alessio Geretti: «Il grande artista nasce con l'istinto di farci intuire quell'oltre che è nella materia»
17 Novembre 2021

«Guarda: sotto l’azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: “più in là”». Sono versi da Maestrale di Eugenio Montale. C’è il mare, ci sono gabbiani in volo e un invito a guardare. Ma soprattutto c’è l’uomo che non può fare a meno di puntare lo sguardo sull’oltre, su quel sentore di infinito che, attraverso i suoi occhi, aleggia (anche se non vogliamo) su ogni visione di ciò che lo circonda. Guardi i 50 selezionatissimi dipinti dai migliori musei del mondo, esposti a Casa Cavazzini di Udine fino al 27 marzo nella mostra La forma dell’infinito e pensi proprio a quel “più in là” che ti ribolle nel cuore. E se considerare i nomi ti senti davvero in buona compagnia: Matisse, Kandinskij, Kupka, Picasso, Monet, Boccioni, Cézanne, Gauguin e poi Vedova, Hartung, Fuchs, Nomellini, Ciurlionis, Goncharova...

Il curatore è don Alessio Geretti, sacerdote a Tolmezzo, nella diocesi di Udine, che insieme al parroco ha la cura anche di sette parrocchie di montagna in altrettante frazioni e comuni fra i quali Illegio, località in cui da anni organizza mostre d’arte che attraggono migliaia di visitatori. È lui stesso a sottolineare che la mostra a Casa Cavazzini «offre la possibilità di un viaggio dal mondo esterno alla profondità del cuore. L’arte, quella degna di tal nome, nasce con l’istinto di farci guardare oltre lo sguardo».

Un prete che cura e organizza mostre d’arte?

Sembra una strana maniera di vivere il sacerdozio e la dimensione pastorale, ma la vivo con convinzione perché l’arte è una sorta di intensificazione dell’umano, esprime ciò che l’uomo spera e teme nella maniera più nitida e affascinante. Esporsi al contatto con l’arte significa ritrovarsi sulla porta delle domande essenziali di ogni uomo: l’amore, il male, la morte, la fede, il senso delle cose; significa guardare al nostro essere umani senza infingimenti. E poiché teologicamente il luogo eletto dell’incontro con Dio è l’umano, credo che attraverso l’arte si possa giungere all’incontro col Volto di Dio.

In pastorale come si traduce?

Nella stagione che stiamo vivendo una parte non irrilevante dell’azione pastorale dei cristiani dovrebbe essere diretta a suscitare domande, che sono un antidoto alla strategia dell’incultura e della superficialità in cui siamo immersi il cui obiettivo è spegnere ogni domanda sul nascere. Una strategia che non confuta apertamente il Vangelo, ma se non hai domande o quelle che hai sono costantemente obliate da una sciagurata distrazione, non potrai mai prendere in considerazione le risposte. Tutte le arti, invece, creano condizioni propizie al sorgere delle domande.

L’arte ci parla di Dio?

Io ho preso sul serio quel che sosteneva Van Gogh in tante lette- re al fratello e all’amico pittore Èmile Bernard in cui parlava del legame fra arte e spiritualità sostenendo l’importanza di far vedere a chi non se ne rende conto quello che c’è oltre l’apparenza delle cose. E se vogliamo prendere sul serio questa affermazione, dobbiamo considerare che per Van Gogh fare arte era un modo per parlare di Dio e «delle dichiarazioni di Cristo riguardo all’altra metà dell’esistenza». Insomma, tutto quello che dipingeva era religioso. Allo stesso modo Kandinskij scriveva il trattato Dello spirituale nell’arte e insisteva sulla risonanza con l’anima che deve emergere dall’armonia dei colori e, poiché associava colori a suoni, dai suoni che essi producono.

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Roberto I. Zanini

Avvenire, 14 novembre 2021