UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Corridoi educativi: facciamo rete»

Il prorettore dell’Università Cattolica Sciarrone Alibrandi: privilegiare i percorsi di studio nei Paesi d’origine
2 Ottobre 2022

«Quando si parla di cooperazione internazionale in ambito educativo si pensa principalmente all’educazione primaria e meno a quella universitaria. Ma questa è altrettanto rilevante: l’Università Cattolica già da tempo ha in atto progetti di cooperazione con varie aree del mondo», spiega la professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi, pro-rettore dell’Università Cattolica e consultore del Pontificio consiglio della cultura. Il Cesi – Centro di ateneo per la solidarietà internazionale – è il motore organizzativo di tutte queste attività che coopera con molte realtà come l’Associazione Realmonte, formalmente esterne, ma che «lavorano in team con l’università. Questa pluralità di attori – spiega Sciarrone – è uno dei fattori del successo di alcuni progetti. Ad esempio la fondazione “I4impact” promossa dalla Cattolica, svolge formazione universitaria e post universitaria per giovani africani con l’obiettivo di formarli nei loro Paesi di origine: un vero esempio di cooperazione completa».

L’Università Cattolica dal 2016 ha accolto e sostenuto il percorso universitario di sette studenti siriani. A questo va aggiunto il tradizionale impegno di borse di studio mentre vi è il lavoro parallelo di associazioni come la Realmonte. Un progetto articolato e complesso: quali le criticità e i risultati?

L’idea è stata di dar vita a un “corridoio educativo” per portare a studiare in Italia studenti siriani o provenienti da altre aree di crisi. Uno dei punti di forza, come dicevo, è stata la cooperazione in rete fra diversi attori, indispensabile in azioni così complesse: l’università in quanto tale, Educatt (la fondazione per il diritto allo studio) e l’Associazione Realmonte. Questi studenti non avevano solo un percorso di studi da frequentare, ma anche un nuovo contesto dove vivere, nuove relazioni da aiutare a generare: la scelta è stata di ospitarli, grazie a Educatt, nei nostri collegi. Oltre all’esenzione delle tasse c’era un problema di alloggio e di corsi di italiano per metterli in condizione di frequentare. Molto positive le ricadute, certo per questi ragazzi, ma anche per gli altri studenti in un positivo scambio di esperienze. Tante le criticità: molto complesso il carico burocratico e amministrativo, che spiega i numeri limitati. L’altra difficoltà è la barriera linguistica.

Pensando all’impegno specifico per il Medio Oriente della campagna “La pace va oltre”, si può pensare a una sorta di “Erasmus” del Mediterraneo con un costante scambio di studenti e professori in modo da formare una classe dirigente mediterranea?

È un progetto su cui si dovrebbe investire sia con capitale finanziario che in capitale umano. Quando si ragiona in una logica di scambio bisogna investire anche sulle persone: più che agli studenti penso ai docenti, non tutti con la valigia in mano. Sarebbe un progetto bellissimo, ma l’attuale situazione geopolitica lo fa pensare di difficile realizzazione: molti progetti hanno già avuto una battuta d’arresto. Però l’obiettivo ultimo è certamente condivisibile.

Uno studente, proveniente da contesti difficilissimi come Siria o Ucraina, che finisce una specializzazione in Italia come può avere realistiche possibilità di inserimento sociale e lavorativo? E come non venire meno all’obiettivo di far ricadere abilità umane e professionali a favore dei Paesi di origine?

Chi si specializza in Italia, a prescindere dalla nazionalità, credo che oggi abbia buone possibilità di inserimento qui da noi. L’obiettivo ultimo, però, è di non impoverire di competenze il Paese di origine. È un grosso rischio e per questo preferisco progetti di scambio come Erasmus oppure progetti che riescono a sviluppare percorsi di studio in loco. Ma non sempre è possibile in aree di crisi: questo resta un grosso tema aperto. (L.Ger.)

Avvenire, 2 ottobre 2022