Per uno di quegli strabismi tipici del nostro Paese, da una parte si celebra l’unicità e “l’eccellenza” (termine su cui servirebbe una moratoria) del patrimonio artistico, architettonico e archeologico italiano – tanto sulla spinta di una sincera volontà di valorizzazione, tanto cavalcando la cattiva retorica del “petrolio”, che trasforma il bene culturale in bene di consumo, e quindi soggetto a un costante logorio fisico e di senso – dall’altra la storia dell’arte, ossia la disciplina che elabora gli strumenti per leggere quel patrimonio, è la cenerentola della scuola.
Dopo lo scempio della riforma Gelmini (che aveva virato i piani di studio verso l’area tecnico-scientifica), la Buona Scuola avrebbe dovuto far rientrare la storia dell’arte nel biennio di tutti gli indirizzi degli istituti secondari di secondo grado, compresi quelli tecnici e professionali dai quali era stata cancellata, sia nel biennio del liceo classico, dove era stata rimossa insieme alla sperimentazione. Promessa poi disattesa nell’iter legislativo: e dunque la materia oggi è presente solo nei trienni dei licei (salvo nell’artistico e quindi nel liceo scientifico, dove però è in condominio con disegno), assente negli istituti tecnici – è infatti ridotta persino nell’indirizzo turistico ed è inspiegabilmente assente nell’indirizzo Grafica e Comunicazione (non dimentichiamo che nel vecchio diploma di geometra e nel nuovo CAT manca storia dell’architettura).
Almeno il 45% degli studenti italiani non ha la possibilità di studiare la storia dell’arte nella scuola. Eppure c’è fame di conoscere e capire l’arte. Al di là di come si vogliano analizzare i numeri, la crescita costante dei visitatori dei musei italiani è un dato di fatto, mentre le mostre (anche qui restando ai dati lordi, senza entrare nel problema della qualità dell’offerta) staccano biglietti su biglietti.
Fioriscono con riscontro di pubblico le conferenze dedicate alla storia dell’arte, i documentari su mostre e artisti approdano al cinema, vanno esaurite le proposte didattiche e i laboratori per bambini, famiglie e ormai anche adulti. C’è un desiderio di arte, spinto da numerosi fattori, pulsioni e mode, che va assecondato e educato. La scuola non può dunque perdere l’occasione né abdicare al suo ruolo: perché nella storia dell’arte si condensa molto più di una questione di stili e di autori.
Lo ricorda a ogni pagina Irene Baldriga in Diritto alla Bellezza (Le Monnier, pagine 174, euro 16,0. Il volume viene presentato domani alle ore 18.00 al Maxxi di Roma). «L’idea portante di questo volume – scrive Baldriga, storica dell’arte, dirigente scolastico a Roma e presidente di Anisa, Associazione nazionale insegnanti di Storia dell’arte – consiste nell’evidenziare la storia dell’arte come risorsa per la crescita e il miglioramento del nostro Paese (…) Con la sua vocazione alla laboratorialità, al rapporto con il territorio e a una didattica interdisciplinare che naturalmente si proietta nell’esercizio di competenze trasversali, la storia dell’arte è la carta vincente per promuovere nuova consapevolezza, pensiero critico, valorizzazione sostenibile delle risorse, senso identitario e cittadinanza».
No, non pare esagerato. Nell’opera d’arte, in virtù della sua natura spesso pubblica, originaria o acquisita, convergono vettori molteplici – estetici, storici, religiosi, politici, sociali… – in un rimando continuo tra passato (stratificato: non solo il tempo della sua genesi ma ogni momento attraversato deposita la sua patina) e presente (il suo essere nell’oggi che rende contemporanea ogni opera d’arte), micro e macrostoria, esperienza personale e dimensione comunitaria, e si offrono all’esperienza con una disponibilità unica grazie alla doppia consistenza fisica e simbolica. La chiave della complessità è in grado di aprire molte porte: «L’allenamento alla decifrazione della complessità costituisce un tratto peculiare della storia dell’arte, nella quale oltretutto si combinano aspetti teorici e culturali a particolarità del “fare” (la tecnica, la materia): un approccio mentale che nutre il senso identitario dei cittadini, fornendo loro elementi di ricostruzione delle proprie radici e dei propri modelli di riferimento, ma che veicola al tempo stesso una nuova consapevolezza della globalizzazione che connota il nostro presente».
C’è spazio per ragionare su sviluppo sostenibile, il tema sempre più attuale della cittadinanza e dell’inclusione (c’è un legame tra il “diritto alla bellezza” e ius culturae), ma anche dell’affetto e dell’arma a doppio taglio dell’abitudine verso il patrimonio. Accanto al valore intrinseco della conoscenza della storia dell’arte, sostiene Baldriga, «la comprensione dei riferimenti culturali e identitari di cui l’opera d’arte è documento e veicolo, consente al tempo stesso l’assimilazione di codici di lettura e la maturazione di un’attrezzatura epistemologica idonea a superare gli ostacoli della complessità dell’era postmoderna».
Alessandro Beltrami
Avvenire, 9 maggio 2018