Un giovane italiano su quattro di età compresa tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non si sta formando. A suonare l’ennesimo campanello d’allarme è l’Ocse nel suo Rapporto 2017 sullo stato dell’istruzione nel mondo. Di fatto in Italia i Neet (sigla che identifica i giovani tra i 15 e 29 anni in questa situazione di totale inattività) sono quasi il doppio rispetto agli altri Paesi. E, a dire il vero, neppure i dati sul livello di istruzione complessivo della popolazione tra i 25 e i 64 anni, ci vede collocati in buone posizioni. Ad essere critica, secondo i dati del Rapporto, è la capacità dei corsi seguiti di avere uno sbocco professionale adeguato e in tempi stretti. Al contrario la maggior parte dei nostri laureati si concentra nell’area umanistica che in campo occupazionale si colloca al di sotto delle possibilità che hanno coloro che si laureano nelle materie scientifico- tecnologiche. A tutto questo si unisce anche un investimento governativo in costante calo (il 4% del Prodotto interno lordo contro la media Ocse del 5,2%) nell’ultimo decennio.
Insomma una fotografia tutt’altro che incoraggiante per l’Italia quella illustrata ieri mattina nel convegno all’università Luiss di Roma promosso dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in collaborazione con l’Associazione Treellle, che da diversi anni analizza, studia e propone piste di lavoro per migliorare il sistema formativo e scolastico in Italia guardando anche allo scenario europeo e internazionale.
I laureati in Italia. Siamo sotto la media Ocse (che è al 37%) e con il nostro 18% ci posizioniamo in fondo alla classifica rispetto agli altri Paesi. È il dato più basso dopo quello del Messico. Restiamo, però, con il primato della percentuale più alta di laureati in materie umanistiche (il 30%). Dato poco consolante visto che questa area di studio mostra le maggiori difficoltà d’ingresso nel mondo del lavoro. Un dato che penalizza in maggior parte le donne che raggiungono la laurea, spesso impegnate in percorsi di studio in discipline a basso tasso di occupazione. Al contrario maggiori possibilità le hanno i laureati in materie scientifiche e tecnologiche. Ecco allora l’importanza, sottolinea il Rapporto Ocse, di «accompagnare le scelte di orientamento al percorso superiore e universitario con maggior consapevolezza sui bisogni emergenti nel mondo del lavoro».
Altro dato è il divario che si registra tra le regioni italiane se consideriamo la popolazione adulta laureata. Prendendo la fascia d’età 25-64 spetta al Lazio il primato con quasi il 25%, precedendo di poco Umbria, Emilia Romagna e Toscana (tutte sopra il 20%). Fanalini di coda Puglia e Sicilia attorno al 13%. Ma se si considera la fascia d’età 25-34 anni, il Lazio viene superato dalla provincia autonoma di Trento (oltre il 30%), Umbria, Emilia Romagna, Lombardia e Marche. Nulla cambia in fondo alla classifica anche se il tasso di laureati supera di diversi punti quelli della fascia 25-64 anni.
La scuola dell’infanzia. È un aspetto nuovo nel Rapporto Ocse 2017 e mostra una partecipazione elevata nel nostro Paese con il 92% di iscritti tra i bambini di tre anni, il 94% tra quelli di quattro e il 97% tra quelli di cinque. Nonostante un tasso così elevato la spesa pubblica per questo segmento del percorso formativo si ferma allo 0,5% del Pil contro una media Ocse dello 0,8%.
Gli investimenti. Altro tasto dolente di questo Rapporto che evidenzia ancora una volta come il nostro Paese non investa sull’istruzione e la formazione. Il dato riferito dall’Ocse è del 7,1% del Pil nel 2014. Con un ulteriore dato: si spende molto nella scuola primaria - quasi in linea con la media Ocse - mentre si cala nel procedere del percorso di studi, dove il divario tra l’Italia e la media Ocse cresce in modo considerevole.
La replica del ministero. «I dati diffusi oggi – commenta il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli – si riferiscono al 2014. Da allora, con la Buona Scuola e le successive leggi di bilancio, sono stati fatti investimenti importanti, tre miliardi a regime sulla scuola, che si evidenzieranno nei prossimi Rapporti dell’Ocse». E così anche l’aumentare il numero dei laureati «è uno degli obiettivi che ci siamo prefissati e verso il quale ci stiamo già muovendo».
Enrico Lenzi
Avvenire, 13 settembre 2017