Quando agli orali della maturità, a inizio estate, li hanno sentiti lanciarsi in una rete di collegamenti con la storia, la letteratura e la matematica, dissertare sull’attualità di Ungaretti, padroneggiare l’italiano, i commissari li hanno guardati compiaciuti: «Avete frequentato solo gli ultimi tre anni, ma è come se foste qui da una vita. Continuate a impegnarvi al massimo per realizzare i vostri sogni e veniteci a trovare».
Hanno il fuoco negli occhi neri e profondi i due Amadou e Alieu, tre ragazzi giunti a Palermo come minori stranieri non accompagnati nel 2015 e oggi diplomati e pronti a spiccare il volo verso l’università. Un risultato importante, raggiunto con fatica e perseveranza, grazie a un drappello di compagni di strada fedeli, che li hanno presi per mano all’inizio del percorso di studio e della nuova vita in Sicilia e sono diventati «la nostra famiglia ». Si tratta di una trentina di giovani universitari o laureati che si sono messi in gioco, perché non bastano i bei discorsi per aiutare gli altri, bisogna investire il proprio tempo. È il senso dell’impegno della comunità Exodos, che coinvolge giovani tra i 18 e i 30 anni in un cammino di formazione spirituale e umano e che da tre anni e mezzo ha deciso di tradurre questa ricerca in un servizio culturale e sociale alla città, specialmente verso i ragazzi svantaggiati. In particolare, il ramo 'Attività sociali' è aperto anche a persone non cristiane, ma che hanno desiderio di incontrare il volto dell’altro.
Quotidianamente seguono negli studi una ventina di ragazzi stranieri inseriti a scuola, li aiutano a prepararsi agli esami di ingresso, a comprendere materie sconosciute. Ma i libri sono solo un aspetto del viaggio cominciato insieme. Perché sentirsi accolti è partecipare a una gita, a una serata in pizzeria, trascorrere insieme una giornata al mare o semplicemente riunirsi in cerchio a discutere e conoscersi meglio. E poi ci sono i problemi quotidiani di chi diventa maggiorenne e deve lasciare la comunità di accoglienza, ritrovandosi senza casa e con gli studi ancora da terminare. Alle spalle questi giovani hanno le risorse della Fondazione Humanum, nata per idea di alcuni docenti e professionisti allo scopo di sostenere l’istruzione e la formazione culturale di giovani in condizione di svantaggio socio-economico, ma realmente meritevoli. Un’alleanza preziosa che sta producendo frutti rigogliosi.
Come Amadou Diallo, 20 anni, proveniente dalla Guinea, giunto in Europa il primo agosto 2015, ma trasferito in una comunità a Partinico «dove non avevo la possibilità di andare a scuola. Così da solo sono arrivato a Palermo, perché volevo studiare» dice con la fermezza che lo ha portato in poco più di tre anni a conseguire la licenza media, a fare il “salto” al terzo anno di istituto tecnico per il turismo Ferrara grazie ai ragazzi di Exodos («come se mi avessero aperto la testa per metterci dentro i libri »), a trovare un lavoro part-time nella foresteria del centro Santa Chiara e ora al diploma con 76 centesimi. «Mi piacerebbe lavorare negli alberghi per far conoscere la mia città» confida, avendo già all’attivo la padronanza di sette lingue (francese, inglese, italiano, arabo, spagnolo e i dialetti africani fula e sou-sou) e l’iscrizione pronta a Scienze del turismo. Questo ragazzo, nel suo percorso, ha incontrato un suo omonimo, un altro Amadou Diallo del Senegal, arrivato a Palermo il 4 dicembre 2015, dotato di una straordinaria capacità di relazione e di andare a fondo nelle cose. Insieme condividono l’appartamento che la Fondazione Humanum ha affittato per loro, contribuiscono alle spese di gestione con il loro lavoro. Hanno trovato nella famiglia Spallino una sponda importante di affetto e aiuto nel districarsi tra le complesse pratiche burocratiche.
Durante questa estate, Amadou e il suo compagno di banco e amico Alieu Jobe del Gambia, dopo aver lasciato a bocca aperta i commissari dell’industriale Majorana, hanno studiato per affrontare i difficili test universitari di Medicina. «Tutti i miei amici in Senegal erano medici, io frequentavo lo scientifico nel mio Paese per raggiungere questo obiettivo. E cercherò di raggiungerlo anche qui – sorride il “ciclone” Amadou – Vorrei fare qualcosa di importante nella vita, qualcosa che nessuno si aspetta, lasciare un segno». La timidezza di Alieu non frena l’ambizione. «Quando ero piccolo, mia nonna in Gambia morì nel nostro villaggio perché non c’era un dottore che potesse curarla – rivela – Ecco perché desidero diventare medico e ce la metterò tutta». Tutti e tre, musulmani praticanti, hanno incontrato in questa avventura i ragazzi di Exodos e li considerano come fratelli, padri, madri. «Sono felice che abbiano colto l’aspetto più importante della nostra comunità, ossia la voglia di creare rete di legami – conferma Aaron Allegra, 31 anni, laureato in filosofia e membro dello staff di responsabili di Exodos – Noi riconosciamo in loro le stesse nostre esigenze. Prima di tutto è necessario combattere l’isolamento. Ci siamo voluti impegnare perché il mondo così com’è non ci basta e vorremmo continuare anche con i ragazzi dei quartieri di periferia. Per farlo abbiamo bisogno di altri volontari, di persone che condividano questo metodo e questo stile di vita».
Alessandra Turrisi
Avvenire, 25 agosto 2019