UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Accettare quello che siamo (e quello che sono gli altri)

Il confronto va insegnato. L’importanza del rispetto reciproco
11 Dicembre 2023

Le parole di Gino Cecchettin hanno una valenza educativa straordinaria. Tre passaggi mi hanno colpito in particolare. Il primo è quello in cui il papà di Giulia afferma che l’amore vero cerca solo il bene dell’altro. Più avanti, Gino cita Khalil Gibran: «Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà». Queste parole mi hanno fatto venire in mente altre parole, scritte su un foglio che ci hanno donato quando io e mia moglie abbiamo deciso di accogliere un bambino in affido: «Egli è lui e non è un altro». Sono parole che mi commuovono sempre: amare significa accogliere le persone come un dono, con la loro ricchezza e i loro limiti, senza pretendere che siano ciò che non sono o che ci diano ciò che non vogliono darci.

L’idealizzazione dell’altro ha una radice tossica: chi idealizza rischia di perdere di vista la persona e di volerla modellare a partire dal proprio desiderio. Ogni genitore, ogni educatore, ogni insegnante dovrebbe partire proprio da qui: accogliere le ragazze e i ragazzi che gli sono donati cercando una bellezza su cui investire, invece di lamentarsi perché non sono come dovrebbero essere. Solo così, crescendo, quelle ragazze e quei ragazzi potranno dire ciò che di sé scriveva il grande Giovannino Guareschi: «Io volevo essere esattamente così come sono. Diverso da così mi andrei largo stretto». Guareschi non scriveva queste parole per autoincensarsi, ma le poneva a conclusione di una ironica descrizione di sé. Accettarsi non significa non desiderare di essere migliori, ma è la base per essere persone serene, che sanno a loro volta accettare gli altri. Il secondo passaggio che vorrei sottolineare è quello in cui il papà di Giulia parla dell’importanza del rispetto reciproco, della gestione costruttiva del conflitto e del saper affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza.

Mi capitò, tempo fa, di uscire a cena con una persona molto distante da me per idee politiche, per storia personale e per sensibilità. Fu una cena bellissima: ci confrontammo su molte cose, ci trovammo d’accordo e discutemmo e, alla fine, ne uscii molto arricchito. Postai su Facebook la foto di un nostro brindisi. Apriti cielo! Ci fu chi commentò che mi stavo svendendo, che quella foto faceva tristezza, che avevo perso tutta la mia coerenza. Credo che l’origine della violenza possa nascondersi anche in commenti di questo tipo. L’altro, diverso da me, può essere avversario senza essere nemico. Il rispetto parte dal capire che confrontarsi solo con persone che la pensano come noi è rischioso: se ti guardi continuamente in uno specchio che ti dice che hai ragione, magari finisci per convincerti di avere la verità in tasca e perdi l’umiltà che spinge a cercarla. Il confronto con chi è diverso invece provoca, attiva il cervello, previene la sopraffazione, insegna la tolleranza anche di scelte e di posizioni che ci feriscono. Ma si cresce anche così: la scuola, in questo, è una palestra fondamentale.

Il terzo passaggio da incorniciare è il finale: «Voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace». Queste parole mi fanno ripensare a una conferenza a cui ho assistito sulla giustizia riparativa. Spesso, parlando di giustizia, abbiamo in mente una bilancia: il torto inflitto va ripagato fino all’ultimo con una uguale dose di punizione e di sofferenza, perché i piatti tornino in pari. Ma la giustizia riparativa preferisce un’altra immagine: quella di una pianta con radici profonde, che si staglia verso il cielo, piena di vita, sotto la cui ombra accogliente molti possono trovare posto e ristoro. Sentire parlare di amore, perdono e pace da un uomo prostrato da un dolore così immenso mi ha fatto capire che davvero quella pianta non è solo un’utopia, che i semi sono nelle nostre mani.

Marco Erba

Avvenire, 7 dicembre 2023

(Foto: Ansa-Sir-diocesi di Padova)