“Una preziosa opportunità formativa, che arricchisce il percorso scolastico promuovendo la conoscenza delle radici e dei valori cristiani della cultura italiana”. Così definisce l’Insegnamento della religione cattolica (Irc) il consueto messaggio della Presidenza dei vescovi italiani in occasione delle iscrizioni scolastiche e in vista della scelta di avvalersi o meno di tale insegnamento.
Vale la pena di sottolineare questa espressione, perché non solo coglie nel segno, ma in particolare riassume il significato profondo di una attività “ridisegnata” profondamente nel 1984, con il nuovo Concordato, dopo tanti anni di discussione e riflessione a proposito del ruolo di un insegnamento religioso nella scuola.
Quale fu l’indirizzo scelto? Quali le motivazioni che hanno portato all’attuale disciplina? Sostanzialmente la necessità che nel percorso formativo della scuola di tutti – nel curricolo – si dovesse/potesse affrontare anche l’ambito della coscienza religiosa e/o più in generale della spiritualità. Sarebbe lungo qui elencare i tanti passaggi della cosiddetta “stagione dei dibattiti”, ma certamente il dato di fondo fu la riflessione pedagogica e la considerazione della crescita integrale dell’allievo. Crescita integrale cui non poteva mancare, appunto, una dimensione così importante come quella legata all’ambito del trascendente. Naturalmente in modo assolutamente indipendente dalle scelte di fede di ciascuno.
In un documento scolastico importantissimo e non dimenticato dagli esperti (anche se messo da parte) si leggeva nel 1983 che “la scuola pubblica nell’accogliere tutti i contenuti di esperienza affettivi, morali e ambientali di cui l’alunno è portatore, deve favorire anche attraverso la conoscenza dei fatti e dei fenomeni religiosi lo svolgersi e l’esprimersi della sua personalità e contribuire alla formazione di un costume di reciproca comprensione e di rispetto tra soggetti, pur di differenti posizioni in materia di religione, siano essi credenti o non credenti” (Commissione Fassino, per le scuole elementari).
L’Irc ha certamente chiara questa prospettiva. Si propone come servizio alla scuola di tutti, è “patrimonio di tutta la scuola e non solo di una parte”(così scrive Ernesto Diaco, responsabile del Servizio nazionale per l’Irc a margine del Messaggio della Presidenza Cei) e, ancora lo sottolineano i vescovi, si fonda su una “alleanza educativa” tra Chiesa e scuola, tra Chiesa e Stato, ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, ma insieme impegnati “alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese” (art. 1 Nuovo Concordato).
Questo è il quadro di riferimento di un insegnamento che mira alle finalità della scuola, che permette di conoscere radici e valori della nostra cultura, del “patrimonio storico” del popolo italiano. Un insegnamento che è occasione per tutti, senza esclusione e senza richieste di adesione di fede. Laico, impartito da insegnanti dedicati e professionisti, competenti, esponenti di una Chiesa che attraverso di loro si mette a disposizione della scuola, riconosce la sua autonomia, indossa il grembiule servendo il bene comune e rispondendo all’invito del Concilio Vaticano II che non a caso ha dato un impulso fondamentale proprio alla riflessione e al cambiamento anche per l’Irc.
Alberto Campoleoni
Sir, 16 gennaio 2024
(Foto Siciliani - Gennari/SIR)