UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La spiritualità dello studente nell’esperienza della Fuci

Dal 5 all’11 agosto 2024, a Camaldoli, la tradizionale Settimana teologica rivolta agli universitari
28 Giugno 2024

Dal sito web della Federazione Universitaria Italiana, riprendiamo una riflessione sull spiritualità dello studente.

Caro Fucino e cara Fucina,
nel centro di Roma si possono trovare tante belle fontane. Da quelle prorompenti nella loro bellezza, come quella di Trevi, ad altre più sobrie e austere nella loro linearità, come il bacino romano di fianco al Senato. Tra tutte queste fontane la mia preferita è una piccola, incastonata nel muro esterno dell’edificio di Sant’Ivo alla Sapienza. Piccola nelle sue dimensioni e quasi nascosta allo sguardo, è costituita da due pile di libri, da cui fuoriesce l’acqua. I libri, simboli della Sapienza, appaiono fonti di vita. Questa immagine è qui impiegata per dire che nella tradizione giudaico-cristiana lo studio non è mai stato concepito come qualcosa di finalizzato a sé stesso o come strumento di manipolazione della realtà, bensì come via di contemplazione di Dio, sguardo intelligente della comprensione ultima della realtà.

Lo studio non è un tempo della vita, ma un modo di vivere la vita. C’è una spiritualità dello studio che va proposta e riproposta. A partire proprio dal simbolo del libro della fontana della Sapienza. Questo mi fa pensare alla sfida che la vita rappresenta per gli studenti cattolici: vivere in mezzo al mondo, con tutte le sue ambiguità e tensioni, ma consapevoli che al centro di tutto c’è la fontana che scorre, l’acqua dello Spirito che dà la vita e dà significato a tutto ciò che accade intorno a noi. Normalmente il nostro studio parte proprio da un testo. Quelle pagine di fronte a noi, che ci attirano, che possono essere una nuova chiave di accesso alla realtà o a volte una ostica diga allo scorrere dei nostri pensieri, quelle pagine stanno lì. E non posso sostituirle, non posso cancellarle. Lo studio mi ricorda così un fatto semplice: la realtà mi precede. Io vengo dopo. Lo studio richiede così una caratteristica e una virtù. La caratteristica è quella dell’estremo realismo. La virtù è quella dell’umiltà, in quanto sono io a dovermi adeguare all’oggetto. Mi avvicino al libro, al laboratorio, allo strumento senza volerlo manipolare. Posso avvicinarmi con una teoria, ma questa va verificata. Lo studio presuppone di conseguenza libertà e porta a libertà. L’ha detto Gesù: «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Lo studente e lo studioso si fermano davanti all’oggetto della loro ricerca. Si fermano per capire, per ascoltare la voce ultima della realtà.

La prima regola della spiritualità dello studio è semplice: la realtà è prima di me. Lo studente scopre che lui non è il primo al mondo e neanche l’ultimo. Sa che si trova in una catena di conoscenza e in una tradizione di pensiero che gli permettono di riconoscere il valore di ciò che vede. Lo studio non è una esperienza in solitaria. Certamente richiede i lunghi tempi delle letture, le fatiche della costante risignificazione della realtà, ma tutto questo, se indubbiamente comporta silenzi e fughe sociali, è finalizzato alla condivisione. D’altra parte, che me ne faccio di quel che so, se non lo condivido con gli altri?

L’oggetto dello studio è la realtà e se non è quella vera il mio cercare e lavorare diviene inutile, perché non toccherebbe la mia vita. La verità nella vita dello studente è punto di tensione/attrazione, è ragione e fine dello studiare. Ciò vale soprattutto per lo studente credente, che cerca il senso di ciò che vive: ciò che sto leggendo, imparando, ascoltando come è legato alla verità profonda dell’uomo? Come si collega alla verità di Cristo? Lo studio forma la mia coscienza, cioè raffina il mio sentire e capire la realtà. Lo studio porta a giudicare, cioè a emettere un giudizio sulla realtà: è buona, è cattiva, va difesa, va cambiata. Lo studio mi porta a prendere posizione di fronte alla realtà. Lo studio ci colloca. È frutto di una visione della vita, ma anche ci porta a una concezione di vita: il posto nella vita mi è dato o me lo prendo? I due aspetti coesistono. La fede in Gesù Cristo ha da dirmi molto su questo aspetto, ascoltando la sua parola: «Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (Gv 14,2-3).

Lo studio diviene allora luce che aiuta a capire quale posto il Signore abbia preparato per me. Lo studio richiede fatica. Ci vuole inoltre disciplina: la disciplina e l’impegno rendono più di una intelligenza grezza. L’eccellenza in un campo scientifico si raggiunge solo tramite la disciplina quotidiana dello studio. Emerge allora un’altra caratteristica dello studio: la responsabilità. Se non si è responsabili non si avanza: responsabili del proprio corpo (mangiare e dormire bene), dello spirito (pregare), dell’insieme delle relazioni, del tempo… vi è un criterio veramente chiave nell’ambito della responsabilità, che è quello espresso da Gesù: «Io faccio sempre ciò che è gradito al Padre» (Gv 8, 29). Solo chi è responsabile di sé può procedere nello studio. Non solo perché è in grado di organizzarsi (tempo, metodo di lavoro, riposo), ma soprattutto perché capisce l’obiettivo e organizza la giornata in base al fine. Se da una parte c’è una fatica, dall’altra bisogna anche accettare il fatto che non tutto dipende da me.

È il caso, ad esempio, del tempo degli esami. Io posso dare il meglio di me, ma ci sono elementi che vanno oltre le mie possibilità e capacità. Io posso impegnarmi (e devo) ma non sono superman, né il salvatore del mondo. Bisogna far presente che per una vita intellettuale credente bisogna pregare un po’ di più. Quando abbiamo poco tempo, quando siamo assillati dalle troppe cose da fare, preghiamo un po’ di più. Infine, si può parlare di vocazione dello studente, per cui gli studi universitari non sono semplicemente un luogo, ma un tempo (unico e irripetibile). Io sono studente anche fuori dalle mura universitarie e anche fuori dalle ore di studio. L’essere studente è uno stato di vita (transitorio), caratterizzato da una profonda dimensione esistenziale di curiosità, ricerca del vero e del bene (bello), che vanno oltre il tempo dello studio.

Se siamo tutti chiamati alla vocazione alla santità, essa si declina in maniera speciale nel tempo degli studi, divenendo una specie di stile di vita: lo studente è un ricercatore, una persona che si meraviglia, una persona consapevole di sé e della sua maturazione, desiderosa di portare il suo contributo al mondo. È il tempo della preparazione, ma anche del cammino che vale in sé. E vale perché non si gira a vuoto, ma si trova chi e cosa si cerca. E una volta trovatoli, lo studente cattolico è chiamato a rendere ragione della speranza che è in lui (cfr. 1Pt 3,16). In ultimo il centro del suo pensare e agire è attraversato da una esigenza personale: coniugare fede e ragione.

Roberto Regoli

(da fuci.net)