UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il dividendo dell’occupazione è più alto per chi ha una laurea

Un intervento del presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli
18 Giugno 2024

Negli ultimi tre anni l’economia nazionale, con una dinamica del Prodotto destinata a entrare nei libri di storia, ha recuperato i livelli precedenti la crisi sanitaria. E nel 2023, pur con un certo ritardo rispetto ai principali partner europei, ha anche recuperato i livelli raggiunti prima della grande crisi finanziaria internazionale del 2008. Una ripresa che si è riflessa nei numeri degli occupati, che Istat mese dopo mese fotografa con le statistiche che sono frutto di una delle più importanti indagini condotte dall’Istituto, la Rilevazione campionaria delle forze di lavoro.

Ieri Istat ha diffuso un set di informazioni che vanno oltre quei numeri e ci raccontano qualche cosa in più sulle traiettorie del nostro mercato del lavoro. Si tratta delle matrici di transizione lavorativa della popolazione longitudinale riferite agli anni 2021-2023. Si apprende, leggendo questa Nota, che il miglior “dividendo occupazionale” raccolto in quel triennio di crescita sostenuta è andato ai laureati.

Nel 2022 il 94% degli individui che erano occupati lo è rimasto anche nell’anno successivo. Ma le quote cambiano con il titolo di studio: se restano occupati nei due anni il 91,5% degli individui in possesso del titolo di scuola media inferiore, la quota sale al 96,2% per i laureati, con una differenza di 4,7 punti percentuali. Se osserviamo i flussi in entrata nello stato di occupazione degli individui in cerca di occupazione e di quelli inattivi le quote sono rispettivamente pari a 26,4 per cento per i laureati e 8,5 per cento per chi si è fermato a un titolo di studio più basso.

Ancora. La quota di ingressi dalla disoccupazione alla condizione di occupazione sale dal 19,6% degli individui nella classe più bassa di titolo di studio, al 39,6% per gli individui laureati, con una differenza di ben 20 punti percentuali, che conferma la validità della leva della formazione per la riuscita nel percorso professionale. Ugualmente la quota di ingressi nella occupazione dalla inattività è superiore di ben 4 volte passando dal 5 per cento di chi s’è fermato al Diploma di Terza media al 21,1 per cento dei laureati.

Queste statistiche sulle matrici transazionali confermano che il peso della formazione vale anche quando si incappa in una crisi aziendale. In maniera simmetrica, infatti, si riducono le quote in uscita dall’occupazione verso la disoccupazione e verso gli inattivi, che per l’intera popolazione di occupati, sono pari rispettivamente all’1,5 e al 4,5 per cento. Mentre, se si considera il titolo di studio, il tasso di transizione verso la disoccupazione scende dal 2,2% per i meno istruiti allo 0,8% dei laureati. E quello verso la condizione di inattività, dal 6,3 al 2,9 per cento.

L’analisi sulle componenti longitudinali della Rilevazione sulle forze di lavoro considera solo il lato dell’offerta di impiego ma è interessante anche guardando alle prospettive della domanda di lavoro. Sono temi che abbiamo ben illustrato nel nostro Rapporto annuale, che dedica buona parte del secondo capitolo al tema dello sviluppo del capitale umano e al suo ruolo nell’occupazione. Ma non siamo stati i soli a farlo. La Banca d’Italia nella Relazione di fine maggio ha sottolineato che nei prossimi anni la progressiva adozione di tecnologie basate su sistemi di intelligenza artificiale (IA) influenzerà la domanda di lavoro, soprattutto per le professioni che richiedono maggiori competenze cognitive. I lavoratori impiegati in settori e tipologie di occupazione dove i sistemi di IA sono complementari con le loro competenze ne trarranno verosimilmente beneficio in termini di produttività e prospettive occupazionali, mentre altri potrebbero essere esposti al rischio che i loro compiti siano svolti dalle nuove tecnologie. Anche in questo futuro scenario – un futuro assai prossimo – i diplomati, presumibilmente, saranno più interessati dal rischio di sostituzione, mentre i laureati, concentrati nelle professioni complementari, sperimenteranno una nuova crescita della loro esperienza lavorativa.

Francesco Maria Chelli, presidente Istat

Avvenire, 13 giugno 2024