UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La scuola a lezione tra nuovi italiani, disabili e precari

Cosa insegna l’anno che si è chiuso
10 Giugno 2024

L’ultima campanella spalanca le porte dell’estate a otto milioni di studenti (a eccezione di quelli impegnati negli esami di Terza media e nella Maturità) e della disoccupazione a qualche migliaio di insegnanti, quelli con incarico “fino al termine delle attività didattiche”. Al termine dell’anno scolastico che ha fatto della valorizzazione del merito la sua cifra distintiva si potrebbe (e dovrebbe) ripartire da qui per «ridare autorevolezza ai docenti», come ha sottolineato in questi mesi il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Perché se è sacrosanto condannare le aggressioni fisiche agli insegnanti, prevedendo anche pene più severe per gli autori di questi gesti sconsiderati (e non di rado si tratta di genitori), sarebbe altrettanto doveroso dare stabilità di lavoro e di vita a chi, magari da un decennio, tiene a galla il barcone della scuola, salvo poi essere accompagnato a riva a ogni inizio d’estate. Che trascorrerà grazie al sussidio di disoccupazione e a qualche ripetizione, aspettando la prossima chiamata per un nuovo spezzone di cattedra.

«A settembre abbiamo assunto 40.600 nuovi docenti e avviato le procedure per reclutarne altri 70mila nei prossimi tre anni. È importante che vi sia ogni anno un bando di concorso per reclutare stabilmente, avviando così un nuovo corso rispetto al passato», ha promesso Valditara. Mettendo il dito nella piaga della nostra scuola che, con più di 200mila insegnanti precari, funziona a singhiozzo e non dappertutto allo stesso modo. E a pagare il prezzo maggiore sono, ancora una volta, i più fragili, come gli alunni disabili, che per oltre il 30% sono affidati a insegnanti di sostegno senza la necessaria specializzazione. Con il paradosso che anche l’ultimo bando per la specializzazione degli aspiranti docenti assegna molti posti al Sud, dove la domanda è minore, e pochissimi al Nord, dove invece ce ne sarebbe bisogno. Alimentando un circolo vizioso che ricade interamente sulle spalle dei ragazzi disabili e delle loro famiglie.

Merito significa anche riconoscere e valorizzare i talenti di ciascuno. Invece non è così, soprattutto per chi vive nelle periferie delle grandi città e nelle aree interne. Qui la scuola diventa davvero una trincea, ma non sempre, e non per tutti. Certamente non fa abbastanza (e non per colpa sua) per il milione e 200mila bambini che «vivono in povertà assoluta, senza beni indispensabili per condurre una vita accettabile», sottolinea Save the children. Che ricorda come «in Italia 1 minore su 7 lascia prematuramente gli studi, quasi la metà dei bambini e adolescenti non ha mai letto un libro, quasi 1 su 5 non fa sport». Quest’estate ripartiamo anche da qui, come è stato fatto, per esempio, a Caivano, che da periferia degradata sta vivendo un momento di riscatto civile e sociale. Un modello da esportare anche in altre parti del Paese, dove povertà e degrado la fanno ancora da padrone. E dove la scuola resiste nonostante tutto.

Merito, infine, significa anche tenere nella giusta considerazione il percorso e le fatiche di chi ha investito tempo, energia e passione in un’aula scolastica italiana senza potersi dire italiano a tutti gli effetti. Magari essendo pure nato nel nostro Paese. Come quasi il 70% degli oltre 800mila studenti con cittadinanza non italiana, che ci si ostina a considerare “stranieri” perché nati da genitori immigrati. Quasi a volerli cancellare dalla comunità di cui, invece, fanno parte a pieno titolo, e con pieno merito. Appunto.

Paolo Ferrario

Avvenire, 9 giugno 2024