UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il pasticciaccio brutto della Carta del docente

Sono già migliaia i ricorsi accolti degli insegnanti precari esclusi dal bonus di 500 euro annui per la formazione
10 Giugno 2024

Ormai non passa giorno o quasi senza che qualche Tribunale della Repubblica condanni il Ministero dell’Istruzione e del Merito a risarcire un insegnante precario privato della Carta del docente, la misura da 500 euro annui per l’aggiornamento professionale, introdotta dalla legge 107/2015 (Buona Scuola) e riservata esclusivamente ai docenti di ruolo. Una decisione che potrebbe costare carissimo alle casse dello Stato.

Anche negli ultimi giorni, appunto, diversi Tribunali (da Cosenza a Castrovillari, da Treviso a Marsala, soltanto per citare le sentenze più recenti, l’ultima delle quali emessa giusto l’altro giorno), hanno accolto i ricorsi dei precari che, forti di una sentenza della Corte di Cassazione - e di un pronunciamento del 2022 del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia europea, che vieta di discriminare tra lavoratori assunti a tempo indeterminato e determinato - hanno chiesto la Carta per l’aggiornamento professionale, ottenendo anche gli arretrati. E condannando, appunto, il Ministero a risarcire gli insegnanti per una media di circa 2.500 euro a testa.

A promuovere i ricorsi è il sindacato autonomo Anief, che ha quantificato in oltre 200mila docenti precari la potenziale platea dei beneficiari della Carta. Se tutti facessero ricorso, vincendolo come è sempre accaduto finora - tanto che l’Anief annuncia di aver già ricevuto oltre 20mila sentenze favorevoli - lo Stato potrebbe essere costretto a sborsare oltre 100 milioni di euro in risarcimenti.

«Ma la somma risarcitoria potrebbe essere molto superiore – avverte un comunicato dell’Anief – considerato che può essere chiesta per gli ultimi cinque anni, quindi, con recuperi fino a 3mila euro a docente, oltre che le decurtazioni al plafond della carta docente già previste per il 2024 e il 2025 e l’estensione del beneficio pure al personale educativo per via di un’altra pronuncia della Cassazione». «Ora – aggiunge il presidentenazionale del sindacato, Marcello Pacifico – il Governo pensa a inglobarla nello stipendio nel prossimo contratto, ma dovrà sempre pagarla per il servizio svolto negli ultimi 5 anni o dall’invio della diffida interruttiva».

Anche il giudice di Marsala si rifà alla sentenza 1842/2022 del Consiglio di Stato, secondo cui la decisione di escludere gli insegnanti precari dalla Carta del docente, «collide con l’esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non esclusivamente quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, affinché sia garantita la qualità dell’insegnamento complessivo fornito agli studenti». Inoltre, il giudice ha spiegato che «la situazione del ricorrente risulta comparabile - dal punto di vista della natura del lavoro, delle condizioni di formazione e delle competenze professionali richieste - con quella di un docente assunto a tempo indeterminato: entrambi svolgono le stesse mansioni ed entrambi hanno il diritto-obbligo di svolgere la medesima attività di aggiornamento e di qualificazione delle proprie competenze professionali».

Ed è proprio qui, allora, che si configura la discriminazione tra lavoratori con contratto a tempo indeterminato e lavoratori a termine, già condannata dalla Corte di Giustizia Europea, sulla base dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999. In altri termini, scrive il giudice di Marsala, poiché «la formazione costituisce un diritto e dovere del

personale docente», «il Ministero è tenuto a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscono la formazione non solo al personale a tempo indeterminato ma anche a quello a tempo indeterminato». Un obbligo che, al momento è (ancora) una piccola slavina ma rischia di diventare, in breve, una vera e propria valanga.

Paolo Ferrario

Avvenire, 8 giugno 2024