UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

«Insegnare l’italiano? È cruciale»

Le esperienze offerte dal mondo scolastico (e non solo)
22 Marzo 2024

«Senza l’insegnamento approfondito dell’italiano, l’integrazione dei ragazzi stranieri resta sempre a metà». La riflessione arriva da una scuola media di Lesmo, in Brianza, e precisamente dalla cattedra della professoressa Antonella Bolzoni, 53 anni e da 28 insegnante di italiano agli alunni con cittadinanza straniera. «Attraverso la comprensione della lingua – argomenta la docente – passano tutte le notizie e le informazioni; solo comprendendola a fondo una persona riesce a ricostruire il mosaico sociale ed entra davvero a far parte della cittadinanza. Perciò insegnare l’italiano a un buon livello ai ragazzi stranieri è fondamentale: non farlo significa condannarli a restare ai margini».

Bolzoni sa quel che dice: per anni ha lavorato nelle periferie milanesi con i migranti nei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (Cpia, per chi ha più di 16 anni) e nel carcere di Opera; poi si è occupata della formazione degli insegnanti di italiano per stranieri anche pubblicando manuali dedicati e dal 2019 è docente di Lettere nella scuola media Don Milani di Lesmo che nelle classi accoglie alunni italiani e studenti provenienti soprattutto da Egitto, Marocco, Senegal e Mali. «Molti ragazzi arrivano da Paesi dove le scuole sono disorganizzate e con un livello bassissimo. In Italia si trovano in un altro mondo, anche scolastico; in più non sanno la lingua. A quell’età in un anno in classe imparano l’italiano della comunicazione di base, sono in grado di fare la spesa e parlare con i loro coetanei. Ma per imparare l’italiano dello studio, che serve ad affrontare i libri di testo, di anni ce ne vogliono almeno sette».

È un nodo cruciale: non conoscere la lingua oppure fermarsi a un livello basico impatta sul futuro dei ragazzi che finiscono per abbandonare la scuola (secondo i dati Miur lo fa quasi un quarto degli studenti con cittadinanza non italiana tra i 17 e i 18 anni) oppure per orientarsi soprattutto verso le scuole professionali, precludendosi la possibilità di mobilità sociale ma anche sprecando una preziosa inclusione di risorse e talenti nel Paese. Il tema è caldo, soprattutto in Lombardia, dove le scuole ospitano oltre un quarto degli alunni con cittadinanza straniera presenti in Italia. Questi studenti necessitano docenti esperti, percorsi intensivi e personalizzati perché insegnare l’italiano a un ragazzo arabo, cinese o senegalese è completamente diverso.

Qualcuno riesce a far partire progetti mirati e a mettere disposizione continuativa professori di italiano, come la cooperativa sociale La Grande Casa di Carate che, grazie al finanziamento della Fondazione Comunità Monza Brianza, ha attivato percorsi extra per 40 alunni ucraini prevenendo un insuccesso scolastico legato ad ovvie lacune linguistiche. Normalmente, però, i pacchetti di supporto linguistico a cura di mediatori, facilitatori e insegnanti specializzati sono messi a disposizione dai Comuni solo a chiamata, hanno un monte ore scarso e sono indirizzati ai cosiddetti alunni Nai (Neo arrivati in Italia), che sono solo una minuscola parte degli studenti di origine straniera. Oggi il 67,5% degli alunni con cittadinanza non italiana è nato nel nostro Paese: i ragazzi di seconda generazione parlano benissimo l’italiano comune ma fanno più fatica con la lingua dello studio perché a casa adoperano l’arabo, il cingalese o un italiano basilare e non acquistano dimestichezza con vocaboli di livello medio-alto, la cui comprensione a scuola facilita i ragazzi con genitori italiani. A metterci una pezza intervengono allora associazioni e volontari.

A Desio, per esempio, dal 1996 la scuola di italiano per stranieri “Il Centro” offre lezioni a centinaia di adulti migranti e supporto a studenti oggi provenienti soprattutto da Pakistan, Marocco, Egitto, Tunisia, Albania, Perù e Ucraina. «Chi non ha una famiglia madrelingua alle spalle – conferma la coordinatrice Adele Brugora – è linguisticamente più fragile. Ai corsi si è appena iscritta una mamma pachistana: è in Italia da 10 anni ma sa pochissime parole e anche i suoi figli, nati qui e ora alle elementari, hanno difficoltà nell’apprendimento». «Rispetto a 30 anni fa – continua il discorso Orietta Strazzanti, nominata Cavaliere della Repubblica proprio per il suo impegno educativo nel centro di Desio che ha fondato e che ora conta 100 volontari – oggi le scuole si sono attrezzate: per gli studenti stranieri esiste un insegnante referente e la possibilità di una didattica dedicata e di libri facilitati. I genitori dei giovani con origine migratoria, però, non conoscono questi servizi e serve qualcuno di terzo, come noi, per prendersi a cuore il percorso culturale di questi alunni e difendere i loro diritti».

Un lavoro faticoso che dà i suoi frutti: «Attualmente – racconta Strazzanti – faccio lezioni online a due ragazze tunisine che frequentano il liceo tecnologico: studiamo letteratura, filosofia e storia dell’arte partendo sempre dalla lingua. Parole e concetti che per noi sono scontati, per loro sono incomprensibili e il traduttore automatico non li può spiegare. Vedo che imparando l’italiano in profondità i ragazzi si interrogano sui grandi temi: l’uguaglianza, i diritti, la società... Fanno un confronto con il loro mondo e a poco a poco entrano davvero a far parte del Paese in cui vivono».

Ilaria Beretta

Avvenire, 21 marzo 2024