UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Non può esistere una scuola senza valutazione. Don Milani lo sapeva

Il giudizio aiuta insegnanti e alunni ad analizzare la situazione, a confrontare i risultati ottenuti con i punti di partenza e con gli obiettivi da raggiungere
18 Marzo 2024

Caro direttore, Paolo Ferrario, in un botta e risposta su “Avvenire”, richiama don Milani per commentare la proposta del ministro Valditara di introdurre i giudizi sintetici di valutazione nella scuola primaria e si chiede: una scuola senza voti, senza la paura del voto e, nello stesso tempo, capace di suscitare passione, è un sogno ancora possibile? Il che, tradotto in termini pedagogici equivale alla domanda: è possibile una scuola che educhi senza valutare?

Facciamo chiarezza: no, non può esistere una scuola senza la valutazione. La valutazione è insita nel fatto educativo, dal momento che se la scuola educa, deve necessariamente anche prendersi la responsabilità di valutare. Del resto è un mito da sfatare quello che nell’idea di scuola di don Milani non si valutasse (e bocciasse).

I ragazzi di Barbiana, rivolgendosi alla professoressa destinataria della Lettera, scrivono testualmente: «Nella scuola dell’obbligo, l’obbligo l’avrebbe assolto portando tutti a terza. Ma all’esame di licenza se il ragazzo non sa ancora scrivere farà bene a bocciarlo» ( Lettera a una professoressa, Mondadori, p. 46).

Con buona pace, dunque, di tutti gli epigoni di don Milani che ne hanno travisato il pensiero (e contrariamente a quanto pensava il priore, maestro esigentissimo), la scuola primaria contemporanea non boccia. Ma valuta, come è giusto che sia.

La scala di valutazione proposta dal ministro Valditara è in uso in tutti i Paesi del mondo anche in ragione della sua chiarezza e trasparenza (e alla domanda di una giornalista circa l’adozione del giudizio di “gravemente insufficiente”, il ministro ha risposto: vedremo).

La valutazione aiuta insegnanti e alunni a fare il punto della situazione, a confrontare i risultati ottenuti con i punti di partenza e con gli obiettivi da raggiungere. Esistono innumerevoli evidenze circa il fatto che una valutazione continua, non autoritaria ma informativa sugli esiti conseguiti, accelera l’apprendimento.

Senza contare che essa aiuta l’alunno a prendere coscienza del modo in cui lavora, a maturare la propria capacità di autoregolarsi, caratteristica essenziale di qualsiasi persona che voglia dirsi “matura”. Nella valutazione, insomma, si riassume il senso e lo scopo della scuola i cui esiti sono, devono essere, un fatto pubblico da comunicare con chiarezza alle famiglie, le quali non devono essere ogni volta obbligate a decifrare espressioni troppo tecniche inevitabilmente oscure come attualmente quelle in uso.C’è una domanda che dobbiamo porci: come mai la proposta del ministro sta suscitando tanta reattività? Ciò accade perché dietro la questione posta da Valditara si nasconde in realtà la generale e sempre più diffusa incapacità degli adulti di educare.

Agli insegnanti si chiede sempre più indulgenza, si chiede il “mascheramento” della verità delle cose (cos’altro sono gli attuali giudizi descrittivi se non una costruzione nebbiosa per dire e non dire?), per evitare che gli adulti, le famiglie, aprano gli occhi sulle proprie sempre più gravi insufficienze nell’educazione delle giovani generazioni. È per questo che una parte della società chiede agli insegnanti di “tradire” una categoria fondamentale dell’agire didattico che è quella dell’autenticità. Nel rapporto educativo autentico si accettano i maestri e si accettano con fiducia le loro valutazioni, anche quando sono di segno negativo. Solo accettando il responso della realtà gli alunni escono dal guscio e si preparano alla vita. E al tempo stesso i loro genitori sono obbligati a prender atto della realtà. Una scuola che rinunci a svolgere questo compito, è bene dirselo con chiarezza, non ha più senso di esistere.

Loredana Perla, Ordinario di pedagogia Università degli Studi di Bari Aldo Moro Direttrice del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione

Avvenire, 16 marzo 2024