UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Umili e coraggiosi nelle avversità

La lezione di uno studente con Dsa
7 Marzo 2024

L’educazione e la formazione dei giovani richiedono empatia e relazioni incarnate nella loro vita. Animata da desideri, segnata da illusioni e delusioni, ma da sogni e segni di speranza. Lezione di Italiano, M., alunno dodicenne di origine maghrebina, si avvicina timidamente durante una pausa. E mi chiede: «Prof, perché devo andare dal medico? Non sto male!». Parole di sconfinata innocenza. Di disarmante tenerezza. Che mi commuovono. Rispondo: «M., perché vogliamo aiutarti. Desideriamo che tu viva e stia bene: con te stesso, con i compagni, con gli insegnanti»

La vita sorprende sempre. Deborda il reale. Tracima l’abitudine. Eccede, regalandoci ogni giorno il profumo dell’inedito e dell’inatteso. In realtà M. dovrà sottoporsi a una visita presso un medico di neuropsichiatria infantile. Registra, infatti, difficoltà cognitive e carenze nella lettura, nella scrittura, nella comprensione, nell’apprendimento. Verrà probabilmente dichiarato e certificato studente con “disturbi specifici di apprendimento” (Dsa). E supportato adeguatamente da insegnanti di sostegno. I quali – scrive Luigino Bruni – «sono stati la più grande borsa di studio che ha consentito a molti non Mc (meritevoli e capaci) di raggiungere i livelli più alti degli studi, innalzando l’inno più alto alla democrazia». La fragilità di M. è una risorsa per la classe. È una formidabile opportunità per crescere. Per compagni e insegnanti. La sua preziosa povertà educativa arricchirà e feconderà le nostre sterili povertà umane.

«Vi sarà una sola legge per il nativo e per il forestiero che soggiorna in mezzo a voi» (Es 12, 49), dice il Signore a Mosè e ad Aronne: ius soli, ius culturae, ius scholae – se approvati, applicati e assicurati a M. e a chi è nato, è cresciuto, è studente in Italia, “soggiorna in mezzo a noi”, ma, nota Marina Corradi, «è, per lo Stato, quasi un corpo estraneo ancora non assimilato» – sono risposta di civiltà a uno status quo; cifra di una comunità poliedrica le cui “facce” si rispettano e si rispecchiano; segno di un mosaico multietnico le cui “tessere” si riconoscono e si accettano. Tanti precari e provvisori permessi di soggiorno, se trasformati oggi in stabile e legittimo diritto di cittadinanza (ius civitatis), ci arricchirebbero antropologicamente e demograficamente. Ce lo ricorda papa Francesco: «Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani». Concedere la cittadinanza (in civitatem recipere) a chi giustamente la reclama, è lungimirante atto di umanità. Rifiutarla (civitatem recusare) è, invece, miope gesto di indifferenza.

Pochi giorni fa M. mi confida: «Grazie prof, per avermi fatto capire che avevo bisogno di aiuto. Nessuno si era accorto finora del mio malessere». Le parole di M. ci raccontano «che un uomo è forte quando impara ad esser fragile» (Mr.Rain, Fiori di Chernobyl). Ci insegnano ad essere tenaci nella debolezza. Umili e coraggiosi nelle avversità. Quando genitori ed insegnanti ignorano le sofferenze di figli e studenti fragili e disagiati, commettono un “reato” di omissione alla loro missione di educatori: risollevare, incoraggiare, curare deboli e vulnerabili. Perché – osserva il Papa – «educare è sempre un atto di speranza». È seminare semi di futuro, di umanità, di fraternità. È accogliere e abbracciare “todos, todos, todos”. Anzitutto piccoli e ignorati, scarti e scartati. Perché tutti, parafrasando Daniele Mencarelli, chiedono salvezza.

Vito Melia

Avvenire, 7 marzo 2024