UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Mons. Giuliodori: “Ricentrare la vita su Dio”

L’omelia alla Messa di Avvento in Università Cattolica: «Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora»
14 Dicembre 2023

Nella Sacra Scrittura troviamo spesso il riferimento simbolico alla vigna, all’uva, al vignaiuolo e al vino. È uno dei temi più ricorrenti e particolarmente ricco di significati. Basta ricordare che gli uomini inviati da Mosè ad esplorare la terra promessa tornano con un grande grappolo di uva portato da due persone su di un’asta a significare la ricchezza e l’abbondanza di quella terra (Cfr. Nm 13,25) o il cantico della vigna del Signore riportato da Isaia (Cfr. Is 5, 1-7) che costituisce il retroterra veterotestamentario del brano evangelico che abbiamo ascoltato oggi. Vi ritroviamo gli stessi elementi descrittivi: la bella vigna, la siepe, il torchio e la torre. L’immagine della vigna viene utilizzata per descrivere l’amore e la tenerezza del Signore per il suo popolo e nello stesso tempo la delusione e l’amarezza di fronte al tradimento delle attese. Questi significati li ritroviamo anche nel brano del Vangelo di Matteo e ugualmente, con piccole varianti, nei testi sinottici di Marco e Luca, ma i contenuti sono sostanzialmente nuovi.

La novità rispetto ai testi dell’Antico Testamento è il passaggio da una simbologia toccante e suggestiva che ha per oggetto l’amore di Dio per il suo popolo ad una parabola che ha come contenuto fondamentale la missione di Gesù e il rifiuto che gli oppongono i farisei e i capi dei sacerdoti. L’applicazione che Gesù fa a sé stesso della parabola ponendo in evidenza che è lui il titolare della vigna e contro di lui si accaniscono coloro che non lo riconoscono come Messia, conferisce alla narrazione un tono drammatico, anche perché diventa un’anticipazione del mistero pasquale della sua passione, morte e risurrezione.

In questo contesto viene innestata un’altra immagine, quella della pietra angolare, che conferisce alla narrazione ancora più forza e profondità. Un tema anche questo già presente nella riflessione del popolo eletto. Gesù richiama un brano del profeta Isaia (Is 28,16) e cita alla lettera il testo del salmo 118,22-23: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi». Qui troviamo la vera novità e fulcro dell’insegnamento di Gesù che interpella anche ciascuno di noi oggi. Dobbiamo accogliere il richiamo implicito a verificare se non siamo anche noi tra quei vignaiuoli arroganti e presuntuosi che pensano di poter espropriare con la forza la vigna del Signore. E non sono certo pochi coloro che anche oggi pensano di poter agire in modo indiscriminato come se Dio non esistesse, Etsi Deus non daretur, secondo l’espressione coniata nel 1625 dal filosofo olandese Ugo Grozio e spesso richiamata da Benedetto XVI.

Potrebbero benissimo essere collocati in questo orizzonte anche i richiami che Papa Francesco ha fatto nella Laudate Deum ricordandoci che non siamo i padroni del creato e che con il nostro atteggiamento sfidante anche nei confronti di Dio, rischiamo l’irreparabile. E per questo chiude l’Esortazione dicendo: «“Lodate Dio” è il nome di questa lettera. Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (n. 73). Questa conversione dello sguardo e del cuore è alla base di ogni vero cambiamento culturale e sociale. «Mettiamo fine all’idea di un essere umano autonomo, onnipotente e illimitato – afferma ancora il Papa -, e ripensiamo noi stessi per comprenderci in una maniera più umile e più ricca» (n. 68).

Ricentrare la vita su Dio e metterlo a fondamento della nostra esistenza, ma anche delle nostre attività e dei nostri progetti in ambito accademico, significa concretamente fare perno sulla pietra angolare che è Cristo e diventare con lui “pietre vive” come ricorda San Pietro «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,4-5). Siamo chiamati ad essere operai affidabili della vigna del Signore o, per dirla in altri termini con le parole dell’evangelista Giovanni, ad essere tralci uniti alla vite che è Cristo sapendo di essere ben curati dal Padre che è il vero vignaiuolo (Cfr. Gv 15,1-8). Le due immagini della cura della vigna e dell’edificazione spirituale si sovrappongono e si rafforzano reciprocamente, avendo come risultato quello di renderci sempre più consapevoli dei grandi doni ricevuti dal Signore e della responsabilità che ci è affidata in questo nostro tempo e nella concretezza del nostro impegno a servizio della Chiesa, della società, della cultura e soprattutto dell’educazione dei giovani.

Il nostro sguardo deve essere quindi fiducioso e il nostro agire intraprendente e coraggioso. Certo, siamo consapevoli dei tempi difficili e complessi che stiamo vivendo, ma di fronte alle tante incertezze e ai drammi che ci affliggono, ci confortano le parole del profeta Ezechiele ascoltate nella prima lettura: «La terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell’Eden, le città rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate». Chiediamo al Signore di donarci uno sguardo che sappia andare oltre i drammi della guerra, della crisi ambientale, delle difficoltà economiche del momento presente. Sappiamo che questo non accadrà in modo magico, ma solo grazie all’impegno di tutti. E la fede non è l’ultimo appiglio quando non ci sono altre risorse. È piuttosto il primo movente che guida e ispira le nostre azioni soprattutto pensando alla vita della comunità universitaria fondata da P. Agostino Gemelli e dalla beata Armida Barelli.

Deve essere questo lo spirito che guida una università cattolica, come ha ricordato Papa Francesco nel recente convegno sulla pastorale universitaria: «Cari amici, alimentare la gioia del Vangelo nell’ambiente universitario è un’avventura, sì entusiasmante, ma anche esigente: richiede coraggio. […] il peggio per un educatore è non rischiare. Quando non si rischia non c’è fecondità: questa è una regola». Ci vuole il coraggio - insiste il Papa - «di coloro che, sapendosi bisognosi di misericordia, mendicano la grazia senza paura e nella loro indigenza amano sognare in grande. Sognare in grande: i giovani devono sognare e voi dovete fare il possibile per sognare, ambendo alle proporzioni di Cristo: all’altezza, alla larghezza e alla profondità del suo amore (cfr Ef 3,17-19)» (Francesco, Discorso ai cappellani e ai responsabili della pastorale universitaria, 24 novembre 2023).

È un coraggio che conosciamo bene e che abbiamo appreso dai nostri fondatori, figli di San Francesco. In questi anni vivremo particolari celebrazioni francescane: stiamo vivendo in questi mesi gli 800 anni della regola bollata (29 novembre 1223) e del Presepe (Greccio 25 dicembre 1223), si ricorderanno poi le stigmate a La Verna (14 settembre 1224) e morte alla Porziuncola (3 ottobre 1226) – lasciamoci guidare ancor più dallo spirito di P. Gemelli che proprio in San Francesco individuava quella forma di vita e di azione in grado di generare grandi svolte culturali. Scriveva nella sua originale e incisiva rilettura del carisma del santo di Assisi che la spiritualità francescana «possiede il segreto di San Francesco, che capiva le cose divine e umane per forza di amore. Per questo amore San Bonaventura poté fare della conoscenza una illuminazione del Verbo e San Bernardino commentare “tanto si conosce quanto si ama”. Chi non ama non sa» (P. Gemelli A., Francescanesimo, ed. OR, Milano 1979 (I ed. 1932), p. 504. È la conclusione lapidaria di P. Gemelli.

Illuminati da questo stesso amore, non sarà difficile coltivare quella speranza di cui parla il profeta Osea nella seconda lettura prefigurando in qualche modo il Natale del Signore, quando dice: «Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra». Prepariamoci, quindi, a vivere bene il Natale, cioè a ri-conoscere il Signore, il Verbo fatto carne, che viene a noi come bambino, “mite e umile di cuore” in una mangiatoia. Se saremo anche noi tra coloro che con Maria e Giuseppe, i pastori e i magi si prostrano in adorazione potremo essere illuminati dalla sua stella che ci indicherà la strada per essere oggi nel nostro Ateneo, nelle nostre famiglie, nella chiesa e nella società, testimoni credibili dell’amore del Signore. Buon Natale. Amen.

Mons. Claudio Giuliodori

Cattolica News, 12 dicembre 2023