UFFICIO NAZIONALE PER L'EDUCAZIONE, LA SCUOLA E L'UNIVERSITÀ
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Scuola alla ribalta

Un’ampia riflessione di Dino Castiglioni su prospettive e criticità del sistema di istruzione nel momento attuale
21 Luglio 2023

Alcune recenti notizie di cronaca portano ancora una volta  la scuola  alla ribalta, evidenziando situazioni che rivelano in tutta la loro complessità la profonda necessità di riaprire un confronto molto articolato su come il Paese intenda investire sulla formazione delle giovani generazioni con il contributo della società nel suo insieme. Questo per non cadere nel triste e pericoloso errore di chiedere che si trasmettano saperi, ed eventualmente valori, sentendosi di fatto svincolati da qualsiasi coinvolgimento.

Perchè il nodo sta forse proprio qui: non si può parlare di scuola, di chi ci lavora e di chi la frequenta solo per fatti più o meno eclatanti di cronaca, si deve avere una coscienza comune collettiva di attenzione sistematica e continuativa che favorisca effettivamente opportunità di crescita e coscienza civile, così come richiamati dalla nostra Carta Costituzionale.

La sensazione è che invece la vera sistematicità sia costituita dalla distrazione con cui ci si rivolge alla scuola, scarsamente convinti che questa possa favorire un sviluppo democratico nelle coscienze. Da molti anni e con diverse azioni messe in atto, si è cercato di realizzare un sistema formativo che potesse essere all'altezza delle sfide epocali che quotidianamente avvengono, coniugando la capacità di gestione con un'adeguata preparazione del personale scolastico tutto, e soprattutto con il costante obiettivo di fornire pari opportunità a studentesse e studenti così da far emergere in ciascuno di loro qualità a volte disattese.  La pandemia ha per contro fatto emergere una serie di fragilità che hanno bisogno di essere consapevolmete affrontate, gestite e superate. Con il concorso di tutti. Partiamo da alcuni dati: le recenti rilevazioni sulle prove standardizzate hanno confermato come ragazze e ragazzi arrivino in quinta superiore con un forte bagaglio di disuguaglianze in termini di apprendimento.

Disparità educative che non sono nuove e che ne incrociano altre. Da quelle di genere alla condizione sociale della famiglia di origine, dalla cittadinanza al tipo di percorso di studi intrapreso, fino al territorio di residenza. Confermando tendenze già emerse nelle prove del passato.

Gli studenti con alle spalle una famiglia di status socio-economico-culturale alto raggiungono un punteggio medio di 202,6 in italiano. La quota scende a 191,3 tra quelli di famiglie di condizione medio-alta e a 185 in quelle medio-basse. Tra gli studenti con le famiglie più svantaggiate crolla a 171: oltre 30 punti in meno dei coetanei avvantaggiati. Sono peraltro dati già noti che la pandemia ha accentuato. Il dato relativo agli apprendimenti rappresenta in sè poca cosa se non contestualizzato rispetto alle criticità che paiono emergere dai fatti di cronaca: forme di bullismo diffuso, violenze tra coetanei, ribellione nei confronti dei propri docenti, rifiuto di qualsiasi forma di autorità o di riconoscimento di autorevolezza. Accanto a questo assistiamo a situazioni in cui pare che la competenza professionale rischi di sbriciolarsi, in cui la parte di chi è "furbo" superi quella della serietà e motivazione. Forse è davvero il momento di ripensare, senza forme di pregiudizio alcuno ad un nuovo "Rinascimento formativo" atteso che  stiamo vivendo un "inverno educativo", come è stato ben rappresentato dal documento della Conferenza Episcopale Italiana.

Partiamo da un dato, oggettivo: il sistema scolastico nel nostro Paese è costituito da personale altamente qualificato e  motivato, dove singole situazioni di approssimazione professionale non intaccano minimamente  capacità e competenze quotidianamente dimostrate: le famiglie hanno fiducia nella scuola e ne condividono i progetti educativi, in diverse circostanze partecipando attivamente alla vita della comunità scolastica.

Fatta questa premessa ritengo sia doveroso entrare nel merito delle criticità che si manifestano cercando di comprendere come intervenire preventivamente e con quale supporto procedere. La prima osservazione è legata alla struttura organizzativa e gestionale delle nostre scuole. Il modello è quello della partecipazione, risalente ai Decreti Delegati del 1974 e confermato di fatto nelle disposizioni legislative e amministrative successive: l'intento costante è sempre stato quello di una comunità in cui le decisioni siano il più possibile caratterizzate dal coinvolgimento di tutti gli attori interessati, sia che si tratti del dimensionamento scolastico – le indicazioni ministeriali raccomandano in questo senso il pieno coinvolgimento degli Enti Locali del territorio, sia che si tratti della definizione del Rapporto di Autovalutazione o del Piano Triennale dell'Offerta Formativa. Tutti coloro che a vario titolo, direttamente o indirettamente, sono interessati al processo educativo, sono chiamati a partecipare attivamente e positivamente nella elaborazione delle migliori risposte da fornire alle scuole. Ma l'idea della partecipazione non significa, nè ha mai significato, quella di una confusione di ruoli tra chi è chiamato, in virtù del proprio ruolo, ad avere responsabilità primarie, nel caso specifico sul tema dell'istruzione, e chi è chiamato ad un ruolo di responsabilità  condivisa. Nella consapevolezza di ruoli, responabilità e competenze, si deve avere ben chiaro sul come esercitare quella partecipazione complementare che sostiene tutti i processi. Sarebbe altrimenti come rivolgersi al proprio medico, pretendendo di suggerire la diagnosi e la cura. Una osservazione da fare è se il modello partecipativo che ancora è previsto, sia tuttora ritenuto importante o se stancamente ne venga effettuata una ritualità oggi completamente svuotata di significato. Ritengo che prima di parlare del modello, cioè del metodo, si debba riflettere sul significato, il merito, del principio che sottosta a tali normative. Quando circa cinquant'anni fa tali norme vennero emanate, il clima culturale e politico che si respirava era caratterizzato dalla volontà di "esserci", di partecipare; il motto "I care" adottato nella scuola di Barbiana accompagnava ogni agire. "Mi interessa", era il filo conduttore del vivere attivamente il Paese e nel Paese. L'idea era che la scuola, pur essendo una "istituzione", fosse palestra di educazione e di crescita dove realizzare la sintesi delle varie istanze presenti sul territorio; formare dei cittadini per il domani con il contributo di tutti.

Una scuola aperta e supportata nel proprio agire da quanti interagivano con essa. Nel tempo qualcosa è venuto meno: il rapporto fiduciario e la condivisione degli obiettivi si sono trasformati in terreno di scontro: dal confronto al conflitto, dal concorso degli obiettivi al ricorso, dal rispetto al dileggio. Certo, la situazione non è generalizzata o diffusa, però esistono diversi segnali di allarme che ci devono far porre adeguata attenzione cercando di comprendere le cause e le modalità di intervento. Apparentemente sembra che il modello partecipativo così come a suo tempo concepito sia in crisi: la velocità delle comunicazioni che oggi arrivano via social rende evanescente l'idea di confronto e dialogo diretto. La forzata esperienza della didattica a distanza causata dalla pandemia ha accentuato queste criticità, acuendo ancora di più elementi di fragilità e vulnerabilità che hanno penalizzato le situazioni più deboli. Se il sistema nel suo insieme ha retto, è pur vero che va ricostruita una trama di relazioni e di rapporti di fiducia che se sono alla base di un sistema sociale, lo sono a maggior ragione per la scuola.

Ricostruire una trama di relazioni, significa cogliere le opportunità  per riflettere complessivamente sul modello di scuola che si vuole realizzare, e se il modello partecipativo possa essere ancora rivitalizzato. La scuola per sua natura è luogo di confronto dialettico, di ricerca continua, di approfondimento di "visione oltre l'orizzonte".

Significherà ripensare l'idea della partecipazione, dell'importante ruolo delle istituzioni scolastiche rispetto ai territori, alle famiglie, alla valutazione di sistema; costruire o ri-costruire un tessuto di relazioni che faccia emergere quella gran parte del sistema scolastico del nostro Paese che quotidinamente affronta le sfide educative, talora in solitudine. E' necessario recuperare in un'ottica propositiva l'idea di "fare scuola", in modo particolare non solo relativamente alle innovazioni didattiche ma soprattutto rispetto al pensiero pedagogico che deve supportare un sistema formativo.

C'è un grande lavoro di ricostruzione da realizzare in un sistena che ha bisogno di investimenti e risorse, soprattutto in termini  di formazione permanente, sistematica e strutturata nei confronti di tutto il personale, dirigenti scolastici, docenti, personale ATA, con la dovuta valorizzazione e riconoscimento sociale, da più parti sempre richiamato ma in alcuni casi scarsamente realizzato.

Dino Castiglioni, responsabile regionale della Liguria per l’IRC, la pastorale della scuola e dell’università